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Arbitrato 2016-11-21 - Pdf - Stampa

Cassazione sulla clausola arbitrale nei contratti assicurativi

E' clausola nulla trattandosi di clausola abusiva contenuta in un contratto intercorso fra un professionista ed un consumatore, interamente predisposto dal professionista. Fonte: cassazione

 

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Cassazione sezione III sentenza 10 aprile 2015, n. 7176

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 2001 P.A. ha convenuto davanti al Tribunale di Nola la s.p.a. Helvetia Assicurazioni, chiedendone la condanna al pagamento di oltre L. 100 milioni, in forza di polizza infortuni in corso con la società, a seguito delle lesioni riportate in un incidente della strada.
La convenuta ha resistito, sollevando varie eccezioni, fra cui l’improponibilità della domanda per non essere stata previamente esperita la procedura arbitrale prevista dal contratto.
Con sentenza n. 377/2007 il Tribunale ha dichiarato improponibile la domanda, condannando l’attore al pagamento delle spese processuali.
Il P. ha proposto appello, assumendo che la clausola arbitrale non poteva trovare applicazione, essendosi la Helvetia limitata a non rispondere alle sue richieste di indennizzo, senza manifestare il disaccordo sulla quantificazione del danno: requisito a cui è subordinata la necessità di ricorrere alla procedura arbitrale. Ha anche eccepito l’inefficacia della clausola ai sensi degli art. 1341 e 1469 bis cod. civ..
Con sentenza 12 gennaio – 14 febbraio 2011 n. 405 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico dell’appellante anche le spese di appello.
Il P. propone tre motivi di ricorso per cassazione.
L’intimata non ha depositato difese.

Motivi della decisione

1.- La Corte di appello – premesso che la clausola n. 20 della polizza infortuni oggetto di controversia non prevede un arbitrato, bensì una perizia contrattuale, cioè l’accertamento da parte di un collegio di medici nominato dalle parti della natura e dell’entità dei danni derivati dall’infortunio di cui l’assicurato chieda l’indennizzo – ha dichiarato improponibile la domanda, prima di un tale accertamento, escludendo che la clausola rientri fra quelle c.d. vessatorie perché derogative della competenza giurisdizionale, richiamando i principi enunciati dalla giurisprudenza formatasi sull’art. 1341, 2 comma, cod. civ..
2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1469 bis, 3 comma n. 18 e 1 comma, cod. civ., nonché omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, poiché la Corte di appello ha omesso di esaminare la sua eccezione di nullità-inefficacia della clausola ai sensi delle citate disposizioni, trattandosi di clausola abusiva contenuta in un contratto intercorso fra un professionista ed un consumatore, interamente predisposto dal professionista.
3.- Il motivo è fondato.
3.1.- Va premesso che l’art. 1469 bis è applicabile al caso in esame, perché il sinistro in relazione al quale il ricorrente ha chiesto il pagamento dell’indennizzo si è verificato il 9.6.1999, in costanza del rapporto contrattuale, essendo stato il contratto di assicurazione concluso il 21.5.1992 e tacitamente rinnovato di anno in anno fino al 1999.
Gli artt. 1469 bis e seguenti cod. civ., pur se privi di efficacia retroattiva, quindi inapplicabili ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore dell’art. 25 legge 6 febbraio 1996, n. 52 – che ha aggiunto il Capo XIV bis al Libro IV del codice civile – vanno ritenuti applicabili ai rapporti contrattuali in corso a tale data per effetto del tacito rinnovo del contratto anteriormente stipulato poiché, tramite la rinnovazione, è da ritenere tacitamente richiamata anche la nuova regolamentazione dei rapporti fra le parti derivante dalle leggi sopravvenute (Cass. civ. Sez. 3, ord. 24 luglio 2001 n. 10086).
Ciò vale in particolar modo quando le innovazioni legislative attengano a principi di ordine pubblico a cui le parti siano obbligate ad uniformarsi, come deve dirsi quanto all’obbligo del professionista di adeguare le condizioni generali di contratto ai principi inderogabili a tutela dei diritti di utenti e consumatori, così come regolati dagli art. 1469 bis ss. cod. civ., per dare attuazione ad apposite disposizioni adottate in sede Europea (Direttiva n. 13/93/CEE).
La Corte di appello, pertanto, avrebbe dovuto prendere in esame la questione sollevata dall’appellante circa il carattere abusivo della clausola che ha subordinato il diritto dell’assicurato di agire in giudizio al previo esperimento di una perizia contrattuale arbitrale sulla quantificazione dei danni.
Manca invece nella sentenza impugnata ogni motivazione sul punto, avendo la Corte di appello limitato il suo esame e la sua decisione all’inapplicabilità degli art. 1341-42 cod. civ., che attengono a problemi parzialmente diversi.
3.2.- La normativa del 1942 sulle condizioni generali di contratto aveva essenzialmente lo scopo di razionalizzare modalità e costi delle transazioni facenti capo alle imprese, nelle contrattazioni con la grande massa dei destinatari delle loro prestazioni, consentendo loro di predisporre una disciplina uniforme per tutti i rapporti, pur se a prezzo di sacrificare l’autonomia contrattuale delle controparti. Le disposizioni relative all’inefficacia delle clausole vessatorie, di cui al 2 comma dell’art. 1341 cod. civ., svolgevano essenzialmente una funzione di limite ad un tal sacrificio, evitando che il contraente aderente – chiunque egli fosse (imprenditore o consumatore) – potesse subire inconsapevolmente pregiudizio dalla mancata partecipazione alla formazione dell’accordo in casi ritenuti particolarmente gravi: tutela peraltro attenuata dal fatto che l’interessato poteva comunque accettare le clausole onerose, sottoscrivendole specificamente.
La citata Direttiva Europea, per contro – pur se essenzialmente allo scopo di favorire la concorrenza e la commercializzazione dei beni sul mercato comune, tramite la maggiore scioltezza, affidabilità e parità di disciplina delle contrattazioni ha voluto fortemente accentuare la tutela di utenti e consumatori nei loro rapporti con i c.d. professionisti, cioè con i soggetti e le imprese che utilizzino il contratto nell’esercizio della loro attività imprenditoriale o professionale, al fine di evitare comunque che possano essere pregiudicati oltre misura nei loro interessi, a causa della disparità dei rapporti di forza e della mancata partecipazione alle trattative precontrattuali. si è invece proposta un obiettivo più ampio: cioè quello di evitare comunque che il contraente aderente – ove sia un consumatore e si trovi a contrattare con chi invece sia in condizione di agire con la scaltrezza e l’esperienza di chi operi nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o commerciale – possa essere pregiudicato oltre misura nei suoi interessi oltre certi limiti, in considerazione della disparità dei rapporti di forza fra le parti e dell’impossibilità dell’aderente di far valere le proprie esigenze nel predisporre le condizioni della contrattazione.
La normativa introdotta dalla legge di recepimento della Direttiva (art. 25 legge 6 febbraio 1996 n. 52), cioè gli art. 1469 bis e seg. cod. civ. (oggi art. 33 – 38 d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206-Codice del consumo) non solo ha ampliato le fattispecie di clausole abusive rispetto a quelle di cui all’art. 1341 ed ha aggravato le relative sanzioni, disponendo comunque la nullità-inefficacia delle clausole abusive in danno del consumatore, nullità rilevabile dal giudice anche d’ufficio ed indipendentemente da ogni specifica dichiarazione di accettazione; m a inevitabilmente ha imposto diversi e più ampi criteri interpretativi delle fattispecie da ritenere abusive, in relazione alle finalità perseguite dalla Direttiva comunitaria.
Ragion per cui non è detto che i termini usati dal legislatore siano sempre suscettibili di identica interpretazione, nelle fattispecie di cui agli art. 1341-42 ed in quelle di cui agli art. 1469bis e seg. cod. civ.; né che i principi giurisprudenziali formatisi sulle prime possano essere sempre automaticamente trasposti all’interpretazione delle altre.
3.3.- La clausola 20 del contratto di assicurazione in oggetto – che il ricorrente ha riprodotto nel ricorso (pag. 40) – dopo avere premesso che le parti contraenti debbono procedere alla valutazione del danno trovando un accordo direttamente fra loro o tramite due periti nominati l’uno dall’assicurato e l’altro dalla società assicuratrice, dispone che “in caso di disaccordo, le divergenze sono demandate ad un terzo perito, nominato dai due precedenti o, in difetto, dal Segretario del Consiglio dell’Ordine dei medici……[del luogo di stipulazione della polizza].. Le decisioni sono prese a maggioranza di voto e sono obbligatorie per entrambe le parti. Ciascuna delle parti sopporta le spese del proprio perito e per la metà quelle del terzo perito. È data facoltà al Collegio medico di rinviare, ove ne riscontri l’opportunità, l’accertamento definitivo ad epoca da definirsi dal Collegio stesso, che può nel frattempo concedere un anticipo sull’indennizzo con criteri di equità”.
Trattasi indubbiamente della pattuizione di una c.d. perizia contrattuale, in quanto si richiede agli arbitri – scelti in considerazione della loro specifica competenza tecnica – di dare il loro giudizio sulla base delle norme e dei criteri tecnico-scientifici propri della materia (Cass. civ. Sez. 3, 30 giugno 2005 n. 13954): pattuizione che la giurisprudenza ha escluso rientrare fra le clausole vessatorie di cui all’art. 1341, 2^ comma cod. civ. (cfr. fra le tante, Cass. civ. 2 febbraio 2006 n. 2277; 11 maggio 2011 n. 10332 ed altre). Va peraltro rilevato in primo luogo che diverso è il contesto letterale in cui si inserisce la clausola in oggetto, in quanto l’art. 1469 bis, 3 comma n. 18, cod. civ. (oggi art. 33 lett. t) cod. consumo), include le deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria fra le clausole che sanciscono a carico del consumatore “decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, limitazioni all’adduzione di prove”, inducendo a pensare non a questioni di competenza, quanto piuttosto ai casi in cui sia sottratto al giudice il potere di decidere in determinate materie.
La clausola che obbliga l’assicurato ad accettare la decisione a maggioranza del collegio dei periti preclude definitivamente all’utente di servizi assicurativi il potere di sottoporre al controllo dell’autorità giudiziaria – che offre le massime garanzie di legalità e di imparzialità del giudizio – la questione della valutazione dei danni, quindi della misura dell’indennizzo che gli spetta, nel caso di assicurazione contro gli infortuni, cioè una questione di primaria importanza quanto all’interesse all’adempimento.
Qualora poi si ritenga di aderire al principio per cui “nel caso di perizia contrattuale va esclusa l’esperibilità della tutela tipica prevista dall’art. 1349 cod. civ. per manifesta erroneità o iniquità della determinazione del terzo, trattandosi di rimedio circoscritto all’arbitraggio, in quanto presuppone l’esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità mercantile, inconciliabili con l’attività strettamente tecnica dell’arbitro-perito” (così Cass. civ. Sez. 3, 30 giugno 2005 n. 13954 cit.), la clausola comporterebbe anche il venir meno di ogni possibilità di impugnazione della decisione, quindi di ogni possibilità di controllo del giudice sulla decisione degli arbitri privati.
Nell’interpretazione dell’art. 1341 la vessatorietà delle clausole che prevedevano una perizia contrattuale poteva essere giustificata con il principio di tassatività dell’elencazione di cui al secondo comma della citata norma, talvolta esteso ad imporne anche l’interpretazione restrittiva.
Gli art. 1469 bis e seg., per contro, non giustificano un tale rigore, se interpretati in linea con i principi contenuti nella Direttiva 13/93 CEE che – nell’elencare le fattispecie di clausole abusive – vi include quelle che abbiano lo scopo di “sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche” (cfr. Allegato alla Direttiva contenente l’elencazione delle clausole abusive, lett. q): precisazione che si attaglia perfettamente al caso di specie.
3.4.- Ma soprattutto, la clausola contenente l’obbligo di procedere a perizia contrattuale per la valutazione dei danni – così come formulata nel caso in esame – configura gli estremi della clausola abusiva, se i principi di cui al 3 comma n. 18 vengono interpretati alla luce del principio di cui al primo comma dello stesso art. 1469 bis, secondo cui sono abusive le clausole che comportino un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Vero è che la disposizione si riferisce allo squilibrio giuridico nel trattamento delle parti contraenti, cioè ai casi in cui vengano attribuiti alle parti diritti diversi con riguardo ad uguali situazioni, quali la diversa disciplina del diritto di recesso, dell’inadempimento, della clausola penale, ecc; non invece ai meri squilibri di carattere economico.
I principi vanno tuttavia classificati con riferimento alle peculiarità delle fattispecie.
Quando la controversia abbia per oggetto esclusivamente l’accertamento dell’entità di un credito, non si può dire che l’ingiustificata dilazione dei tempi stabiliti per il pagamento e gli eventuali oneri di riscossione aggiuntivi integrino disparità di trattamento fra le parti, che siano irrilevanti sul piano giuridico,poiché le suddette disposizioni vengono oggettivamente a rivestire diversa importanza e diverso peso per il creditore e per il debitore.
Nella specie, la dilazione immotivata della decisione arbitrale per non meglio definite ragioni di opportunità è più onerosa per il creditore che per il debitore; i costi dell’arbitrato – economici e non – sono diversi e meno gravi per l’impresa assicuratrice, la quale si trova quotidianamente a gestire una molteplicità di controversie dello stesso genere, con le conseguenti economie di scala e con l’implicito vantaggio inerente alla conoscenza dell’ambiente, del personale e dei potenziali arbitri, di quanto oggettivamente non risultino per il singolo consumatore isolato, privo di ogni influenza e senza alcuna esperienza.
Conseguentemente la clausola arbitrale peritale la quale preveda che gli arbitri debbano decidere all’unanimità; che il procedimento arbitrale sia completamente gratuito per l’assicurato e che debba essere concluso in tempi rapidi e certi, ben potrebbe sottrarsi al giudizio di abusività.
Ove per contro sia disposto – come nel caso in esame – che la decisione arbitrale è presa a maggioranza ed è definitivamente vincolante per tutti; che grava in ogni caso sull’assicurato l’onere di pagare per intero le spese del proprio arbitro e per il 50% quelle del presidente del collegio, pur se il lodo confermi in toto la congruità della sua richiesta (sì che l’indennizzo assicurativo verrà comunque decurtato degli oneri e delle spese della procedura); che il Collegio medico ha la facoltà di rinviare la sua decisione ad epoca da definirsi “ove ne riscontri l’opportunità”, con il potere – ma non l’obbligo – di concedere all’assicurato un anticipo sull’indennizzo, senza che sia disposto alcun limite ai tempi e alle ragioni del rinvio e senza che sia previsto alcun minimo all’importo dell’anticipo, la clausola arbitrale peritale – interpretata alla luce del principio per cui debbono essere evitati trattamenti che realizzino un significativo squilibrio in danno degli interessi del consumatore – giustifica l’addebito di abusività, con la conseguente sanzione di nullità-inefficacia.
Tanto più quando si consideri che manca nella clausola che è qui oggetto di esame ogni specificazione circa tempi e modi in cui doveva essere attivata la procedura arbitrale; tanto che l’assicurato ha messo in dubbio che fosse prospettabile il “disaccordo”, costituente il presupposto per ricorrervi, a fronte del comportamento ambiguo della compagnia assicuratrice, che non ha mai opposto il rifiuto – ma solo il silenzio – alle sue richieste di pagamento.
Gli obblighi di chiarezza e di completezza che, in base alla normativa in vigore ed alle specifiche indicazione della Direttiva comunitaria, debbono presiedere alla formulazione delle clausole contrattuali predisposte dal professionista, così come il dovere di buona fede di cui all’art. 1469 bis, 1 comma (art. 33 cod. consumo), avrebbero richiesto quanto meno la specificazione dei tempi e delle modalità con cui procedere all’arbitrato; l’espresso avvertimento dell’improcedibilità dell’azione giudiziaria in mancanza del previo esperimento della perizia contrattuale, e soprattutto un comportamento più lineare e inequivoco da parte della compagnia nel manifestare all’assicurato il rifiuto di qualunque accordo sulla definizione dell’entità dell’indennizzo, in mancanza del giudizio arbitrale.
4.- Il secondo motivo – che censura la ritenuta esclusione del carattere vessatorio della clausola n. 20 del contratto, ai sensi dell’art. 1341, 2 comma, cod. civ. – ed il terzo motivo, che denuncia violazione di legge e vizi di motivazione, nella parte in cui la Corte di appello ha omesso di trarre argomento a favore del ricorrente dall’ambiguo comportamento della controparte, risultano assorbiti.
5.- In accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza impugnata è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai principi sopra enunciati.
6.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi.

sa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.


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2016-11-21 Chi: Spataro Fonte: cassazione








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