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Quantificazione del danno 2019-04-08 - Pdf - Stampa

Ernia parzialmente corretta, risarcimento danno

Attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subìto tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell'alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche Fonte: cassazione

 

C

Cassazione III civile Sentenza 31 gennaio 2019, n. 2788
Presidente: Travaglino - Estensore: Porreca
FATTI DI CAUSA

Mariangela C. e Mauro D.F. convenivano in giudizio l'Azienda Policlinico Umberto I di Roma chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti dall'attrice per l'esecuzione colposamente inidonea di un intervento chirurgico effettuato per il trattamento di un'ernia discale, seguìto da una seconda operazione solo parzialmente riparatrice, con conseguente necessità, in chiave terapeutica, di significative cure fisioterapiche e farmacologiche.

Il tribunale, per quanto qui ancora rileva, accoglieva la domanda condannando, altresì, Ina Assitalia s.p.a., chiamata in garanzia dall'azienda ospedaliera, a tenere indenne la stessa nella misura della liquidazione risarcitoria accordata.

La corte di appello riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, riducendo, in particolare, la liquidazione del danno in favore dell'attrice, in conseguenza di un'invalidità permanente ritenuta sussistente in misura minore; escludeva il danno da lesione del rapporto parentale in favore del coniuge, stante l'assenza di macrolesioni che potessero legittimare il ricorso a presunzioni; accoglieva e liquidava altresì il danno da lesione del diritto al consenso informato, quale situazione giuridica soggettiva distintamente tutelata.

Avverso questa decisione ricorrono per cassazione Mariangela C. e Mauro D.F. formulando sei motivi.

Resistono con controricorso l'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, Generali Italia s.p.a., già Ina Assitalia s.p.a., e Vincenzo E., medico che aveva eseguito sia il primo che il secondo intervento, originariamente chiamato in causa dalla società assicuratrice unitamente ad altri due medici, Jacopo L., quale partecipante al primo intervento, e Giampaolo C., coesecutore del secondo intervento.

Non hanno svolto difese Jacopo L. e Giampaolo C.

Generali Italia s.p.a. ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2059, c.c., in uno all'omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poiché la corte di appello avrebbe errato nell'omettere di considerare che l'indagine medico legale del perito d'ufficio aveva accertato la lesione morfologica ma non aveva apprezzato le specifiche e dettagliate conseguenze funzionali e quindi relazionali della stessa, di cui pertanto era mancata la liquidazione ai fini dell'unitaria ma compiuta riparazione del danno non patrimoniale arrecato, il tutto, in particolare, non apprezzando il più che probabile aggravamento futuro dei postumi e, inoltre, contraddicendosi, perché dapprima indicando lacune della stessa consulenza nella complessiva quantificazione della percentuale d'invalidità permanente (20% invece del 27% derivante dalla somma di quelle quantificate per i singoli profili biologici sezionati) e nell'omessa inclusione del danno estetico (per un necessario incremento al 30% finale), e poi concludendo per l'erroneità della sentenza con cui il tribunale aveva, invece, colmato le lacune medesime, accordando più congruamente, anche se non abbastanza, un percentuale di danno permanente del 40%.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2059, c.c., in uno all'omesso esame di un fatto decisivo e discusso, perché la corte di appello avrebbe errato contraddicendosi nel riconoscere, a Mariangela C., per un verso, un danno relazionale, neppure idoneamente liquidato, alla vita di relazione in specie sessuale, per converso negandolo, poi, al marito cui avrebbe potuto e dovuto riconoscersi per via presuntiva, anche in riferimento alla sofferenza normalmente implicata dal legame affettivo.

Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2059, c.c., in uno all'omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poiché la corte di appello avrebbe errato nel mancare di considerare la componente morale del danno non patrimoniale, illegittimamente ritenuta assorbita dalla liquidazione personalizzata del danno biologico e neppure valutata apprezzando la gravità della condotta colposa lesiva.

Con il quarto motivo si prospetta la violazione di legge che la corte di appello avrebbe commesso, come già aveva fatto il tribunale, applicando, per la liquidazione del danno alla persona, le c.d. tabelle romane invece che quelle milanesi.

Con il quinto motivo si prospetta l'omesso esame di un fatto decisivo e discusso in cui sarebbe incorsa la corte di appello non apprezzando nella sua compiutezza la lesione derivante dalla violazione del consenso informato, pur affermata a differenza di quanto accaduto in primo grado, concludendo per una liquidazione equitativa inadeguatamente limitata a 10.000 euro senza considerare, in particolare, che l'attrice non avrebbe assentito all'intervento stesso se avesse avuto contezza di ogni aspetto fattuale e soprattutto della possibilità di evitare l'operazione, tentando la fisioterapia conservativa, in specie alla luce delle risultanze dell'esame elettroneurografico che le furono evidentemente celate, fermo che, quanto meno, conoscendo adeguatamente i rischi, si sarebbe meglio preparata alla successiva sofferenza derivante dall'intervenuta invalidità.

Con il sesto motivo si prospetta l'omesso esame di un fatto decisivo e discusso e l'illegittima negazione del rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio, poiché la corte di appello avrebbe illogicamente mancato di valutare che le conseguenze della colposa condotta medica erano da verificare, come non era stato fatto, anche con riferimento alla sintomatologia dolorosa dovuta agli spasmi muscolari da compressione midollare e alla limitazione della motilità delle spalle oltre che degli arti e non solo del collo o della colonna vertebrale.

2. Il primo e terzo motivo vanno esaminati congiuntamente per connessione, e sono fondati.

2.1. Deve premettersi che nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute dall'elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o di difetto motivazionale (Cass., 20 settembre 2013, n. 21611).

La suddetta inammissibilità può dirsi sussistente, logicamente, a patto che la descritta mescolanza di motivi sia inestricabile (cfr. anche Cass., 17 marzo 2017, n. 7009). Infatti, deve al contempo farsi applicazione del principio per cui la circostanza che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d'inammissibilità dell'impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le deduzioni prospettate in modo da consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi distinti (Cass., Sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100).

L'esame del motivo ora in scrutinio così come degli altri in cui la questione si ripropone - richiamando in modo cumulativo disposizioni correlate a violazioni di legge e il vizio di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. - avverrà nei suddetti limiti, al di fuori dei quali residua dunque l'inammissibilità delle censure.

2.2. Sul piano del diritto positivo, l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Suprema Corte (Corte cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972) dev'essere interpretata, parte qua, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:

a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in peius della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

Nel procedere all'accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve dunque tenere conto, da una parte, dell'insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall'altra, del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 c.d.a. come modificati dall'art. 1, comma 17, della l. 4 agosto 2017, n. 124, la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostituiva della precedente, "danno biologico"), e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

2.3. La regola di giudizio dianzi esposta si pone in una linea di evidente continuità con i principi diacronicamente (ma costantemente) affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea, oltre che da questa stessa Corte regolatrice (principi rispetto ai quali le sole sentenze del 2008 delle sezioni unite di questa Corte sembrarono segnare, parte qua, un momento di apparente discontinuità).

a) Corte cost. n. 184 del 1986: «Va ribadito che il danno biologico è nettamente distinto (ed assume un ruolo autonomo) sia in relazione al lucro cessante da invalidità temporanea o permanente, sia nei confronti del danno morale in senso stretto»; «Il danno biologico è sempre presente nell'avvenuta menomazione psico-fisica, ed è sempre risarcito, a differenza delle due voci (eventuali) del lucro cessante e del danno morale»; «Anche se il danno biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subbiettivo, ben può applicarsi l'art. 2059 c.c., ove dal primo (lesione della salute) derivi, come conseguenza ulteriore rispetto all'evento della menomazione delle condizioni psico-fisiche del soggetto leso, un danno morale subbiettivo»; "Il danno biologico è un tipo di danno-evento, mentre il danno morale subbiettivo è un genere di danno-conseguenza. Diversamente dalle conseguenze morali subbiettive o patrimoniali, che possono anche mancare in tutto o in parte, il danno biologico, in quanto evento interno al fatto lesivo, deve necessariamente esistere ed essere provato»;

b) Corte cost. n. 372 del 1994: «Il danno alla salute patito dal familiare della persona uccisa è il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, che, in persona particolarmente predisposta, anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato d'angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente»; «Il risarcimento dei danni non patrimoniali deve essere razionalmente commisurato non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, ma alle conseguenze del trauma in termini di perdita delle qualità personali»;

c) Corte cost. n. 293 del 1996: «L'inclusione del danno alla salute nella categoria considerata dall'art. 2059 c.c. non significa identificazione con il danno morale soggettivo, ma soltanto riconducibilità delle due figure, quali specie diverse, al genere del danno non patrimoniale»;

d) Corte cost. n. 233 del 2003 (punto 3.4.): «Occorre da ultimo considerare che l'indirizzo interpretativo assunto dal rimettente come diritto vivente risulta disatteso, successivamente all'ordinanza di rimessione, dalla stessa giurisprudenza di legittimità. Giova al riguardo premettere - pur trattandosi di un profilo solo indirettamente collegato alla questione in esame - che può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall'art. 2059 c.c. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828) viene, infatti, prospettata un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona»;

e) Corte cost. n. 235 del 2014 (punto 10.1.) «È pur vero che l'art. 139 cod. ass. fa testualmente riferimento al danno biologico, e non fa menzione del danno morale. Ma la norma denunciata non è chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendone i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%). L'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno attiene al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità, e lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato»;

f) Corte giust., 23 gennaio 2014, C-371/2012: «Rientra nella nozione di danno alla persona ogni danno arrecato alla sua integrità che include le sofferenze sia fisiche che psicologiche. Di conseguenza, tra i danni che devono essere risarciti conformemente alla prima e alla seconda direttiva figurano i danni morali. Il diritto nazionale italiano prevede, da un lato, all'art. 2059 c.c., il fondamento del diritto al risarcimento dei danni morali derivanti dai sinistri stradali, dall'altro, all'art. 139 cod. ass., le modalità di determinazione della portata del diritto al risarcimento per quanto riguarda il danno biologico per lesioni di lieve entità cagionate da siffatti sinistri. L'art. 139 cod. ass. non si pone, pertanto, in contrasto con la normativa comunitaria, poiché la liquidazione del danno morale, se e in quanto dimostrato, non è impedita dalla norma denunciata, ma semmai, come confermato dal Governo italiano in udienza dinanzi alla Corte, limitata entro la misura stabilita dalla norma stessa»;

g) Cass. n. 8827 del 2003 (p. 38): «Si risarciscono così danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch'essi, come gli altri, di natura non patrimoniale», il che «non impedisce che la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione - bensì opportuna, ma non sempre indispensabile - tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, quanto a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto, se una lesione dell'integrità psico-fisica sia riscontrata, e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica», e ciò perché «il danno biologico non è configurabile se manchi una lesione dell'integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica: in tal senso si è orientato il legislatore con gli artt. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000 e 5 e 38 della l. n. 57 del 2001, prevedendo che il danno biologico debba essere suscettibile di accertamento o valutazione medico-legale»;

h) Cass., Sez. un., n. 6276 del 2006: «Invero, stante la forte valenza esistenziale del rapporto di lavoro, per cui allo scambio di prestazioni si aggiunge il diretto coinvolgimento del lavoratore come persona, per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l'illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Peraltro, il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore (propria del danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. Il danno esistenziale, essendo legato indissolubilmente alla persona, e quindi non essendo passibile di determinazioni secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico - necessita di precise indicazioni comprovanti l'alterazione delle abitudini di vita del danneggiato in conseguenza di ciò che concretamente ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore alterandone l'equilibrio».

Va, in particolare, osservato, quanto all'interpretazione del dictum del giudice delle leggi di cui a Corte cost. n. 235 del 2014, che una piana lettura del punto 10.1. della sentenza non consente (diversamente da quanto sostenuto recentemente da autorevole dottrina, che discorre, in proposito, "di lettura antiletterale") soluzione diversa da quella che predichi l'ontologica differenza tra danno morale e danno biologico (i.e., il danno dinamico-relazionale).

Una diversa lettura della decisione, che ne ipotizzi l'assorbimento del danno morale in quello biologico, difatti, ometterebbe del tutto di considerare che la premessa secondo cui «la norma denunciata di incostituzionalità non è chiusa al risarcimento anche del danno morale» evidenzia con cristallina chiarezza la differenza tra qualificazione della fattispecie e liquidazione del danno.

Se, sul piano strutturale, la qualificazione della fattispecie "danno non patrimoniale", in assoluta consonanza con i suoi stessi precedenti, viene espressamente ricondotta dal giudice delle leggi, giusta il consapevole uso dell'avverbio "anche", alla duplice, diversa dimensione del danno morale e del danno alla salute, sul piano funzionale la liquidazione del danno conseguente alla lesione viene poi circoscritta (si badi, per il "solo, specifico e limitato caso delle micro permanenti conseguenti alla circolazione stradale") entro i limiti di un generalizzato aumento del 20% rispetto ai valori tabellari.

Ogni incertezza sul tema del danno alla persona risulta, comunque, si ripete, definitivamente fugata ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni.

L'art. 138 (la cui rubrica è stata correttamente e coerentemente trasformata da quella di danno biologico in quella, onnicomprensiva, di danno non patrimoniale), al comma 2, lett. e), recita testualmente: «al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione progressiva della liquidazione».

Si legge, ancora, al comma 3 della norma citata: «quando la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati ed obbiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%».

Il sopravvenuto intervento chiarificatore, da parte del legislatore, della fenomenologia del danno alla persona induce a escludere una rimessione della questione alle Sezioni unite di questa Corte, posta, cioè, l'esistenza di una chiara volontà normativa affermativa della distinzione strutturale tra danno morale e danno dinamico relazionale (non diversamente da quanto accaduto in campo sanitario, con la modificazione legislativa della responsabilità del medico da contrattuale in aquiliana, nonostante la contrastante ricostruzione in termini di contatto sociale da parte delle stesse Sezioni unite di questa Corte), sia pur in apparente contrasto con alcune affermazioni contenute nelle citate sentenze delle sezioni unite del 2008.

A tali, necessarie premesse storico-metodologiche consegue, con riguardo alla fattispecie concreta sottoposta all'esame del collegio, che, in particolare nella valutazione del danno alla persona da lesione della salute (art. 32 Cost.), ma non diversamente da quanto avviene in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore o interesse costituzionalmente protetto, il giudice dovrà necessariamente valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé").

La misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può inoltre essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

In questo senso, va ribadito che ai fini della c.d. "personalizzazione" del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze "ordinarie" inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente patirebbe), spetta al [giudice] far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse all'esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze "ordinarie" già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, meritevoli in quanto tali di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (Cass., 21 settembre 2017, n. 21939).

In tale quadro ricostruttivo, costituisce quindi duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138 del c.d.a., alla lett. e).

La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il pregiudizio patrimoniale, nella sua duplice e distinta accezione di danno emergente e di lucro cessante) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subìto tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell'alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass., 20 aprile 2016, n. 7766; Cass., 17 gennaio 2018, n. 901; Cass., 27 marzo 2018, n. 7513).

2.4. Facendo applicazione di tali principi alla fattispecie va rilevato quanto segue:

a) da una parte, sul piano logico, non vi è una (insanabile) contraddizione tra l'aver ritenuto sussistenti, come già il tribunale, alcune lacune della consulenza medica officiosa in punto di quantificazione dell'invalidità, senza al contempo giungere agli incrementi domandati dalla parte deducente, fermo quanto si sta per dire sub b) e c);

b) d'altra parte, però, la prima censura coglie nel segno nella parte in cui si sostanzia in una critica all'omessa personalizzazione del danno, risultando fondata, nello specifico, poiché la corte territoriale non ha apprezzato l'eccezionalità delle conseguenze relazionali del danno biologico subìto, che, nel particolare caso, come pacificamente accertato dalla consulenza officiosa riportata in ricorso (pag. 41), ha comportato la preclusione di «tutte quelle attività, lavorative e non, che impongono continue sollecitazioni meccaniche della colonna cervicale»: si tratta di conseguenze correlate a un'irripetibile "eccezionalità" del profilo dinamico relazionale, prive, come tali, di un puntuale apprezzamento. Dal che la fondatezza del motivo;

c) la sentenza andrà poi cassata anche quanto all'erronea sovrapposizione tra «personalizzazione» della liquidazione del pregiudizio non patrimoniale e danno «morale» (pag. 8, terz'ultimo capoverso, della pronuncia d'appello), che dovrà essere autonomamente apprezzato e liquidato per le ragioni sopra esplicitate. Dal che la fondatezza del terzo motivo. Con l'ulteriore precisazione che, come anticipato, la "personalizzazione" della liquidazione non concerne, come affermato dalla corte di appello, le oscillazioni tabellari che definiscono il range astrattamente individuato per monetizzare le "ordinarie" conseguenze del punto d'invalidità accertato (congegnato in modo da lasciare così al giudicante un margine per il concreto apprezzamento equitativo delle appena menzionate ricadute pregiudizievoli). La "personalizzazione" in parola, si ripete, riguarda le eccezionali conseguenze dannose che, rispetto a quelle (da ritenere) incluse nello standard statistico sintetizzato dal punto d'invalidità, permettano e anzi, quando del caso, impongano un incremento rispetto a quel range.

Il giudice del rinvio procederà dunque, nei suddetti sensi, a un nuovo e compiuto apprezzamento e, quindi, a una nuova e compiuta liquidazione del danno alla persona.

2.5. Il secondo motivo è anch'esso fondato.

Con la censura, al di là della sua formale rubricazione, si deduce l'errore di giudizio in cui si è tradotta un'erronea sussunzione della fattispecie nel regime legale delle presunzioni, rilevanti al fine della liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale.

La corte territoriale ha escluso conseguenze, al riguardo, «non essendo riscontabili nella specie macrolesioni o danni fortemente invalidanti».

Quest'affermazione, a fronte di accertate lesioni di non lieve entità (fino al 10%, ex art. 139 c.d.a.) bensì quantificante al 30%, si risolve in un'apodittica negazione di quanto ragionevolmente è riferibile alla normalità di rapporti di convivenza coniugale non revocata in dubbio nelle fasi di merito, in termini di sofferenza morale implicata dalla relazione di vita, sebbene non in termini autonomamente biologici nel senso sopra ricostruito (cfr. Cass., 11 luglio 2017, n. 17058, punto 3). Laddove la locuzione "ragionevolmente riferibile" sta a significare il minimo comun denominatore delle conoscenze e degli apprezzamenti che, in un dato momento storico, vengono riferiti a quella "relazione di vita".

Va al contempo precisato, con riferimento a quanto dedotto in ricorso (in specie a pag. 68) che ciò che dev'essere apprezzato consiste nella gravità delle ricadute - in questo senso del fatto pregiudizievole (Cass. 13 febbraio 2013, n. 3582) - e non della gravità delle condotte colposamente causali del loro autore, atteso che la responsabilità civile, al di là delle sue ricadute funzionali e di espresse eccezioni legislative, ha una generale struttura risarcitoria e non punitiva.

2.6. Il quarto motivo è inammissibile poiché non si censura idoneamente la affermazione della corte di appello secondo cui sul punto dell'applicazione delle c.d. tabelle romane, in luogo di quelle milanesi, si era formato, per mancata impugnazione, il giudicato interno (pag. 8 della sentenza, di cui il ricorso dà atto a pag. 73).

La statuizione non è superabile, come preteso, in ragione di un suo assunto formalismo. Una volta non contestata, cioè, la formazione del giudicato interno, la ratio decidendi in parola risulta ostativa, al di là della pur rilevabile mancanza di dimostrazione della produzione, nelle fasi di merito, delle c.d. tabelle milanesi (che avrebbe, in ogni caso, costituito altra ragione d'inammissibilità: Cass., 13 novembre 2014, n. 24205, Cass., 16 giugno 2016, n. 12397).

2.7. Il quinto motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

La corte territoriale ha accertato e liquidato il danno da lesione del consenso informato, e la specifica deduzione per cui tale liquidazione dovrebbe essere ritenuta insufficiente perché non avrebbe considerato che la paziente avrebbe rifiutato l'intervento chirurgico ove compiutamente informata (in specie dell'esame elettroneurografico), s'infrange con la mancata specificazione di aver allegato e provato tale circostanza (ossia la scelta di non operarsi), anche presuntivamente, nelle sedi di merito (Cass., 19 luglio 2018, n. 19199).

Per il profilo, invece, inerente alla lesione dell'autodeterminazione e alla preparazione all'impatto delle conseguenze, la censura, per come formulata, si risolve in una richiesta di nuovo apprezzamento, in termini equitativi, delle risultanze istruttorie, inammissibile nel giudizio di legittimità.

2.8. Il sesto motivo è inammissibile.

Il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza tecnica, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria un'espressa pronunzia sul punto (Cass., 29 settembre 2017, n. 22799).

Ciò posto, la censura formulata si traduce nella richiesta di un nuovo apprezzamento istruttorio in questa sede inammissibile.

3. Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie per quanto di ragione il primo, secondo e terzo motivo, dichiara inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte di appello di Roma perché, in altra composizione, provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.


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2019-04-08 Chi: Spataro Fonte: cassazione








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I 127 criteri giurisprudenziali per provare il sorpasso pericoloso
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