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La prova del sorpasso pericoloso - Ebook, Checklist e Modello

Il risarcimento del terzo trasportato
I 127 criteri giurisprudenziali per provare il sorpasso pericoloso
terzo trasportato 2011-04-06


Minori terzi trasportati e il risarcimento danni: Cassazione 6316 del 2009


Cassazione Civile, sezioni unite - Sentenza n. 6316 del 16/03/2009 - Tutte le considerazioni sopra esposte conducono al rigetto del secondo motivo dei ricorsi incidentali della compagnia, attraverso l'affermazione del seguente principio: "In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la modifica apportata dal D.L. n. 857 nel 1976 (convertito nella L. n. 39 del 1977) della L. n. 990 del 1969, art. 1, comma 2, ha introdotto (in base ad un' interpretazione compatibile con le direttive comunitarie in materia e che tenga conto dell'evoluzione giurisprudenziale relativa alla disposizione dell'art. 2054 c.c.) la regola generale dell'estensione dell'assicurazione stessa ai danni prodotti alle persone dei trasportati, già prima dell'entrata in vigore dell'ulteriore modifica introdotta dalla L. n. 142 del 1992.

Ne consegue che nel menzionato periodo risultano coperti dall'assicurazione obbligatoria anche i danni sofferti dai soggetti trasportati su veicoli destinati al trasporto di cose, che viaggino nella parte progettata e costruita con posti a sedere per passeggeri



testo 2011-04-06


-
S

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Be.An., in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori F. e B.D., convenne in giudizio il marito, B.G., padre dei minori, e la Società Assicuratrice I., Incendio, Vita e Rischi Diversi s.p.a. (poi I. Assicurazioni s.p.a.) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dal figlio F. (nonchè del danno morale riflesso patito da se stessa e dall'altro figlio), per le lesioni gravissime da questo riportate il (OMISSIS), quando aveva due anni, quale trasportato sul furgone condotto dal padre. Espose che, nel corso di una manovra di retromarcia, il bambino era urtato contro la portiera destra, che si era aperta, provocandone la caduta dall'alto sull'asfalto.

La società convenuta resistette prospettando, tra l'altro, il difetto di legittimazione attiva dell'attrice e la mancanza di prova sulla circostanza che le lesioni subite dal minore fossero effettivamente ricollegabili ad un sinistro stradale; addusse, in subordine, il preponderante apporto causale colposo del padre stesso (oltre che della madre) per difetto di vigilanza e chiese di essere tenuta indenne da B.G. di quanto avesse dovuto corrispondere all'attrice.

Il Tribunale di Como accolse le domande della Be. e condannò entrambi i convenuti al pagamento di distinte somme di denaro per il danno subito da B.F., per il danno morale subito dalla madre e per il danno morale subito dall'altro figlio minore, fratello di F.; respinse inoltre la domanda di rivalsa proposta dall'assicuratrice nei confronti di B.G..

La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Milano che, decidendo sul gravame dell'assicuratrice, ha escluso la risarcibilità del danno morale sul rilievo che la responsabilità del conducente del furgone era stata affermata in applicazione dell'art. 2054 c.c.; ha inoltre condannato B.G. a rimborsare all'assicuratrice la metà dell'importo che questa avrebbe corrisposto alla Be., stante il suo concorrente apporto causale colposo (per difetto di vigilanza non connessa alla circolazione stradale del mezzo) in ordine ai danni subiti dal minore.

Avverso detta sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione Be.An. e B.G., rispettivamente dolendosi dell'escluso riconoscimento del danno morale e della propria condanna al pagamento del 50% in favore dell'assicuratrice. Ad entrambi i ricorsi ha resistito con controricorso la I. Assicurazioni s.p.a., che ha proposto anche ricorsi incidentali condizionati, fondato ciascuno su due motivi.

All'udienza fissata per la discussione (22 giugno 2007) è stata ordinata l'integrazione del contraddittorio, rispettivamente nei confronti di B.G. e di Be.An., non essendo stati il ricorso di ognuno dei due ed il rispettivo ricorso incidentale condizionato dell'assicuratrice notificato all'altro.

Integrato il contraddittorio, i ricorsi sono stati discussi all'udienza del 24 gennaio 2008, all'esito della quale la terza sezione civile della Corte ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per la composizione del contrasto sulla questione di cui al secondo motivo dei ricorsi incidentali condizionati.
Assegnata la causa alle sezioni unite per la composizione del contrasto, la causa viene oggi in discussione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., siccome proposti contro la medesima sentenza.

1. - PREMESSA. E' logicamente preliminare l'esame del secondo, comune motivo dei ricorsi incidentali condizionati, con il quale la I. Assicurazioni s.p.a. impugna la sentenza per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto che si vertesse in ipotesi di assicurazione obbligatoria e che, dunque, l'assicuratore fosse (direttamente) responsabile anche per i danni subiti dai terzi trasportati che fossero congiunti dell'assicurato.

Benchè il motivo sia stato espressamente condizionato all'accoglimento dei motivi di ricorso principale (con i quali i ricorrenti s'erano doluti: la BE., della esclusa risarcibilità del danno morale subito da lei stessa e dai figli, ed il B., della condanna subita a rimborsare alla società di assicurazioni la metà di quanto questa avesse pagato all'attrice) sta il fatto che l'eventuale fondatezza del ricorso incidentale travolgerebbe comunque, quantomeno in ordine al rapporto processuale instaurato con l'assicuratore, qualunque tipo di statuizione sui ricorsi principali, sicchè esso ha ad oggetto una questione che si pone in via preliminare nell'ordine logico di esame delle questioni ai fini di una rinnovata decisione nel merito. Ed è noto che, per giurisprudenza costante dopo l'arresto di Cass. sez. un. n. 212 del 2001, le regole processuali sull'ordine logico delle questioni rendono irrilevante il condizionamento, in quanto non possono subire deroghe su sollecitazione delle parti (cfr., tra le varie, Cass. nn. 18169, 17192, 111 del 2004, 14333 del 2003, 18225 del 2002, 7127 del 2001).

2. - IL SECONDO MOTIVO DEI RICORSI INCIDENTALI DELLA COMPAGNIA ASSICURATRICE. Col secondo motivo di ognuno dei due ricorsi incidentali la società assicuratrice sostiene - deducendo tra l'altro l'inammissibilità della domanda - che, prima della L. n. 142 del 1992, peraltro successiva al sinistro, la L. n. 990 del 1969 non prevedeva l'assicurazione obbligatoria dei trasportati su autocarri omologati per il trasporto di cose (com'era accaduto, nel caso di specie, per il minore B.F.), ma solo per i trasportati da autoveicoli adibiti al trasporto di persone. Sostiene che non si verte, dunque, nel campo applicativo dell'assicurazione obbligatoria, ma dell'assicurazione facoltativa per i danni subiti dai trasportati, che le parti avevano regolato, richiamando la disciplina della L. n. 990 del 1969, art. 4, lett. b); disposizione che escludeva dai benefici, tra gli altri, i discendenti legittimi dell'assicurato. In siffatto contesto - continua la ricorrente - è del tutto irrilevante l'intervenuta declaratoria di incostituzionalità (Corte costituzionale, 22 maggio 1991, n. 188) della norma appena citata nella parte in cui escludeva dalla copertura assicurativa obbligatoria alcune categorie di familiari dell'assicurato (fra i quali i discendenti, come nella specie), che ha bensì modificato gli effetti legali dell'assicurazione obbligatoria, ma che non ha potuto alterare il contenuto dei rapporti negoziali estranei a quell'ambito, il cui contenuto era stato convenzionalmente fissato in modo conforme al contenuto di una norma, così com'era quando le parti l'avevano richiamata nell'esercizio della loro autonomia negoziale.

3. - IL CONTRASTO DI GIURISPRUDENZA. Sulla questione relativa all'estensione (o meno) dell'assicurazione obbligatoria, in epoca antecedente alla L. n. 142 del 1992 (il sinistro in questione, come s'è detto, s'è verificato nel (OMISSIS)), anche ai terzi trasportati su autoveicoli adibiti al trasporto di cose, ma nella cui cabina potessero tuttavia prendere posto altre persone oltre al conducente, si è formato un contrasto di giurisprudenza all'interno della terza sezione civile.

3.1 - L'orientamento restrittivo.

A riguardo la giurisprudenza di legittimità ha assunto, in prevalenza, una posizione restrittiva, sin da Cass. 11 gennaio 1999, n. 196, la quale, con riguardo proprio della L. n. 990 del 1969, artt. 1 e 4, nel testo modificato dal D.L. n. 857 del 1976, conv. nella L. n. 39 del 1977, ma anteriormente alla modifica operata dalla L. n. 142 del 1992, art. 27, afferma che il soggetto trasportato nella cabina di un autocarro era coperto da assicurazione obbligatoria solamente nei casi eccezionali nei quali si rendeva necessario l'impiego di autocarri per il trasporto di persone, con autorizzazione del Prefetto a norma dell'abrogato C.d.S. 15 giugno 1959, n. 393, comma 3, art. 57 ("Previa autorizzazione dell'Ispettorato, gli autocarri possono essere impiegati, in via eccezionale, per il trasporto di persone: l'autorizzazione è rilasciata, in base a nulla osta del Prefetto").

La decisione in parola, in primo luogo esclude la portata retroattiva delle modifiche di cui alla L. 19 febbraio 1992, n. 142, art. 27, estensiva della copertura assicurativa a tutti i trasportati, qualunque fosse il titolo in base al quale era stato effettuato il trasporto. Si preoccupa, poi, di distinguere se la persona infortunata, ospitata nella cabina un autocarro autorizzato eccezionalmente al trasporto di persone (cfr. art. 57 C.d.S., comma 3, 1959), caduta discendendo dal mezzo ancora in movimento, debba considerarsi persona esclusa dal rapporto di assicurazione obbligatoria ai sensi della prima parte del citato art. 4, lett. c), ovvero inclusa, per effetto del richiamo che la seconda parte di tale articolo effettuava dell'art. 1, comma 2.

Provvede, quindi ad esaminare la ratio legis del dato normativo, così ricostruendola: "nei casi eccezionali in cui si renda necessario l'impiego di autocarri per il trasporto di persone, il Prefetto autorizza tale trasporto (si tratta, come è noto di casi in cui, per ragioni di urgenza o di solidarietà, o di igiene o di incolumità pubblica, si renda urgente il trasporto di persone da un luogo ad altro e non bastano i mezzi pubblici di soccorso). In tale caso eccezionale è garantita dalla legge la copertura assicurativa obbligatoria".

Ciò posto, la sentenza in commento conclude che, laddove manchi la ragione dell'eccezione e, quindi, l'eccezionalità dell'impiego del mezzo e la persona trasportata sia soltanto un "ospite gradito" del proprietario o del conducente del mezzo, non sarebbe da considerarsi terzo, incluso ai sensi dell'art. 1, comma 2, ma terzo escluso dal rapporto di assicurazione obbligatoria, ai sensi dell'art. 4, lett. c).

In questo solco s'è posta - come s'è detto - la prevalente giurisprudenza della terza sezione civile di questa Corte. Tanto vale per Cass. 3 marzo 2004, n. 4354, la quale, nel ribadire il principio, ricorda, sul punto della successione di leggi nel tempo, la pronuncia a sez. un. 4 luglio 1985, n. 3042, la quale aveva affermato che le disposizioni del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito in L. 26 febbraio 1977, n. 39, nella parte in cui, modificando della L. 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 1 e 4, estendevano a tutti i veicoli, destinati al trasporto di persone, l'obbligo assicurativo della responsabilità civile per i danni cagionati ai trasportati, non avevano effetti retroattivi e non erano pertanto invocabili con riguardo a sinistri verificatisi prima della loro entrata in vigore.

Alla stessa interpretazione accede anche Cass. 6 maggio 2004, n. 8613, precisando appunto che del D.L. n. 857 del 1976, art. 1, non aveva affatto esteso ai terzi trasportati il diritto ad essere risarciti dei danni subiti dalla circolazione del veicolo, disponendo solo che per i veicoli destinati al trasporto di cose, eccezionalmente al trasporto di persone, l'assicurazione obbligatoria doveva comprendere anche la responsabilità per i danni causati alle persone trasportate (art. 1, comma 1); che, fuori di questo caso, non sono considerati terzi le persone trasportate (art. 1, comma 2).

Ancora, Cass. 23 gennaio 2006, n. 1231, ricostruisce l'autorizzazione amministrativa a norma dell'art. 57 dell'abrogato codice della strada, rilasciata in base a nulla osta del Prefetto, come un elemento costitutivo della fattispecie legale derogativa del principio generale di esclusione dai benefici dell'assicurazione per il trasportato su veicolo adibito al trasporto di cose, con il conseguente insorgere di un onere di allegazione e dimostrazione di questo specifico elemento, a carico della parte invocante la copertura assicurativa. Conferma l'orientamento originato dalla summenzionata sentenza n. 196 del 1999, precisando peraltro che la persona trasportata a bordo di un camion non poteva considerarsi terzo incluso, ai sensi dell'art. 1, ma terzo escluso, ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 4, lett. c), in mancanza della ragione dell'eccezione dell'impiego del mezzo per il trasporto di persone ed in difetto di apposita clausola contrattuale. Infine, Cass. 5 giugno 2007, n. 13059, ricostruisce le argomentazioni sottese al percorso giurisprudenziale che l'ha preceduta, per giungere anch'essa ad una conclusione interpretativa restrittiva, concludendo che "soltanto con la L. n. 142 del 1992, e non anche con la suindicata modifica apportata nel 1976, può invero ritenersi introdotta nell'ordinamento, quale regola generale (e non già meramente eccezionale), l'estensione dell'assicurazione obbligatoria per la r.c.a. ai danni prodotti alle persone comunque trasportate su veicoli".

3.2 - L'orientamento estensivo.

Diversamente dall'esposto orientamento, Cass. 14 dicembre 2004, n. 23294, statuisce la sostanziale equiparazione del terzo trasportato su di un veicolo adibito a trasporto di cose agli altri terzi trasportati, all'esito della c.d. "miniriforma" dell'assicurazione.

La sua massima cosi recita: "In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, alla modifica apportata dal D.L. n. 857 nel 1976, art. 1, conv. nella L. n. 39 del 1977, comma 2, della L. n. 990 del 1969, art. 1, deve attribuirsi l'effetto della estensione dell'assicurazione obbligatoria ai danni prodotti alle persone dei trasportati quale regola generale".

Il principio risulta affermato anche alla luce del mutato orientamento della Corte sul punto dell'applicabilità dei principi civilistici sulla responsabilità, di cui all'art. 2054 c.c., pure al trasportato, ad opera della sentenza n. 10629 del 1998 (della quale si dirà in seguito). Il caso riguardava l'operatività della garanzia assicurativa, relativamente ai danni prodotti ad una persona ospitata su di un autocarro abilitato soltanto al trasporto di cose e privo dell'eccezionale autorizzazione al trasporto di persone, secondo la previsione del D.L. 24 dicembre 1976, n. 857, art. 1, convertito con L. 26 febbraio 1977, n. 39, ancorchè la carta di circolazione del veicolo consentisse che due persone, oltre al conducente, prendessero posto sul sedile anteriore dell'automezzo.

La motivazione della sentenza in commento, premette che l'assicurazione obbligatoria prevista dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, era destinata a coprire la responsabilità civile verso i terzi prevista dall'art. 2054 c.c., (art. 1, comma 1). La qualità di terzi ed i benefici derivanti dai contratti di assicurazione obbligatoria erano tuttavia negati alle persone trasportate, secondo quanto disposto dall'art. 4, lett. c), ma con un'eccezione. Tali benefici, non risultavano negati alle persone trasportate "dai veicoli destinati ad uso pubblico, dagli autobus destinati ad uso privato e dai veicoli a uso privato da noleggiare con conducente, nonchè dai veicoli destinati al trasporto di cose che fossero eccezionalmente autorizzati al trasporto di persone" (art. 1, u.c.).

Ancora, viene specificato come il D.L. del 1976 abbia rispettato la struttura della L. del 1969 e che, pertanto, l'assicurazione obbligatoria abbia continuato a riguardare la responsabilità civile verso i terzi prevista dall'art. 2054 c.c. (L. n. 990 del 1969, art. 1, comma 1).

Ciò posto, la sentenza osserva come, in base all'art. 4, si sia continuato a non considerare terzi le persone trasportate (art. 4, lett. c), ma il rispettivo ambito di applicazione di questa regola e della disposizione di eccezione contenuta nell'art. 4, lett. c) è risultato profondamente modificato. L'art. 1, comma 2, ricomprende nell'assicurazione obbligatoria la responsabilità per i danni causati alle persone, a qualunque titolo trasportate, sui veicoli destinati al trasporto di persone, ad uso pubblico o privato, e sui veicoli destinati al trasporto di cose eccezionalmente autorizzati al trasporto di persone.

La decisione in commento riconosce, quindi, che l'ulteriore estensione dell'ambito di applicazione della disciplina dell'assicurazione obbligatoria ai trasportati si è avuta, a partire dal 1^ aprile 1992, in forza della L. 19 febbraio 1992, n. 142, artt. 27, 28, e 32. Dal confronto della L. del 1969, artt. 1 e 4, nei testi che risultano dal D.L. n. 857 del 1976 e poi dalla L. n. 142 del 1992, la decisione osserva come nel primo sia ancora presente una delimitazione, invece caduta nel secondo, quanto all'ambito applicativo dell'assicurazione per i danni alle persone trasportate.

Tuttavia, rileva che la modifica apportata alla norma nel 1976 ha, comunque, portato a comprendere tra i soggetti cui l'assicurazione si applica tutti i trasportati su veicoli adibiti a trasporto di persone e che, al di là della conservazione del formale rapporto di eccezione a regola tra la L. n. 990, art. 4, lett. c) e art. 1, comma 2, l'estensione dell'assicurazione obbligatoria ai danni prodotti alle persone dei trasportati ha assunto il sostanziale ruolo di una "regola generale". Sicchè, "rispetto a tale norma, si tratta di stabilire se una delimitazione del suo ambito di applicazione, che valga a mantenerne fuori determinate situazioni di trasporto di persone su veicolo legittimamente circolante, risponda ad una ragione che valga a giustificare razionalmente questo diverso trattamento.

Di questo appare giustificato dubitare". In altri termini, "una volta che l'assicurazione debba comprendere le persone trasportate su veicoli comunque destinati al trasporto di persone, per persona trasportata si deve intendere chi prende posto su veicolo senza esserne il conducente e, del resto, a partire dalla sentenza 26 ottobre 1998 n. 10629 di questa Corte, la responsabilità civile da circolazione stradale di conducente, proprietario e soggetti che vi sono assimilati, si ritiene estesa ai danni ai trasportati. Se su un veicolo adibito al trasporto di cose è ammesso che possa essere trasportato, nel senso indicato, anche una persona diversa dal conducente, la circostanza che questo "trasporto" avvenga su tale tipo di veicolo anzichè su uno destinato a trasporto di persone non costituisce un dato idoneo a differenziare, ai fini della applicazione della disciplina in questione, una situazione dall'altra". Ciò anche in considerazione del fatto che "l'art. 58 C.d.S., del 1959 (vigente all'epoca del sinistro "de quo") consentiva che su veicoli destinati al trasporto di cose, ma sul sedile anteriore, prendessero posto altre persone, se la carta di circolazione lo indicava e nei limiti in cui lo indicava".

4. - LA SOLUZIONE DEL CONTRASTO. Le S.U. ritengono debba essere accolta la tesi estensiva sopra esposta, attraverso l'integrazione delle ragioni che si vanno a spiegare.

4.1 - L'evoluzione della normativa sull'assicurazione obbligatoria in tema di persone trasportate.

Occorre premettere che, nella fattispecie in trattazione, il minorenne infortunato era trasportato sul furgone condotto dal padre e subì danni a causa dell'improvvisa apertura della portiera destra del mezzo. Non è in discussione che egli fosse seduto sul sedile adibito al trasporto di persone e non sulla parte del veicolo destinato al trasporto di cose (cfr. sul punto la sentenza, la quale riferisce che al bambino non era stata assicurata "la necessaria stabilità e l'opportuno equilibrio sul sedile di destinazione", nonchè lo stesso controricorso della compagnia a pag. 2 e 21).

L'orientamento estensivo del quale sopra s'è dato conto valorizza l'evoluzione della normativa sull'assicurazione obbligatoria in tema di persone trasportate.

Nel sistema delineato dalla L. n. 990 del 1969, l'assicurazione obbligatoria a copertura della responsabilità civile prevista dall'art. 2054 c.c. (art. 1, comma 1) risulta non estesa anche ai trasportati (art. 4, lett. c), in quanto soggetti non definibili "terzi", se non nei casi di trasporto effettuato su veicoli destinati ad uso pubblico, su autobus privati o vetture da noleggiare con conducente o su veicoli idonei al trasporto di cose, ma eccezionalmente attrezzati al trasporto di persone (art. 1, u.c.).

Con le sentenze n. 55 del 1975 e n. 264 del 1976, la Corte costituzionale - nell'esaminare, in relazione a quanto disposto dall'art. 2054 c.c., le situazioni di fatto e giuridiche rispettivamente della persona trasportata dal veicolo che ad essa ha causato danno e del terzo, tale potendo considerarsi solamente la persona danneggiata per effetto della circolazione del veicolo che non fosse (anche) trasportata - auspicò l'introduzione da parte del legislatore di una più ampia disciplina della materia, con conseguente maggiore estensione del campo di applicazione della assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile a tutela anche "di apprezzabili interessi ed istanze già avanzate in sede di discussione parlamentare".

L'estensione dell'assicurazione obbligatoria fu allora introdotta dal D.L. n. 857 del 1976 (senza che della L. n. 990 del 1969 venisse modificata l'impostazione in termini di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile prevista dall'art. 2054 c.c.) verso i terzi, tali continuando generalmente a considerarsi le persone danneggiate non trasportate. L'ambito di applicazione della regola generale e della relativa eccezione posta dall'art. 4, lett. c), risultò, tuttavia, profondamente modificato, atteso che in base all'art. 2, comma 2, l'assicurazione obbligatoria era ormai estesa alla responsabilità per i danni causati alle persone a qualunque titolo trasportate sui veicoli destinati sia al trasporto di persone (ad uso pubblico o privato) sia al trasporto di cose, eccezionalmente autorizzati al trasporto di persone.

Pertanto, al di là della conservazione del formale rapporto di eccezione a regola tra la L. n. 990 del 1969, artt. 4, lett. c), ed art. 1, comma 2, l'estensione dell'assicurazione obbligatoria ai danni prodotti alle persone trasportate aveva a quel punto sostanzialmente assunto valenza di regola generale, benchè solo con la L. n. 142 del 1992 sia stata eliminata la menzionata disposizione già contenuta nel citato art. 4 lett. c).

D'altro canto, se è vero che l'art. 57 C.d.S., del 1959 (vigente all'epoca dei fatti) prevedeva che "Previa autorizzazione dell'Ispettorato, gli autocarri possono essere impiegati, in via eccezionale, per il trasporto di persone; l'autorizzazione è rilasciata in base a nulla osta del Prefetto", è pur vero che in base al art. 58. "Nella carta di circolazione sono indicati i dati di immatricolazione, quelli di identificazione e costruttivi, l'uso al quale il veicolo è destinato e il numero delle persone che possono prendere posto sul sedile anteriore".

Sicchè, risultando ammessa la possibilità del trasporto (anche su veicolo adibito a trasporto di cose) di persona diversa dal conducente, la circostanza della relativa effettuazione su siffatto tipo di veicolo, anzichè su uno destinato a trasporto di persone, non può considerarsi idonea a differenziare, ai fini dell'applicazione della disciplina in questione, una situazione dall'altra.

Bisogna convenire che una delimitazione dell'ambito d'applicazione che valga a mantenerne fuori determinate situazioni di trasporto di persone su veicolo legittimamente circolante, già con le modifiche apportate dal D.L. n. 857 del 1976 non risponde ad una ragionevole giustificazione di questo diverso trattamento.

A queste argomentazioni, che sono quelle sostanzialmente espresse da Cass. n. 23294 del 2004, si possono aggiungere le seguenti.

4.2 - Cenni sull'evoluzione giurisprudenziale in tema di trasporto "di cortesia" e riflessi sul tema trattato.
Non v'è dubbio che quello in questione possa definirsi un trasporto "di cortesia", distinto da quello "gratuito" per l'assoluta mancanza, nel vettore, di un interesse, sia pure mediato ma giuridicamente rilevante, ad eseguire la prestazione (per una precisa distinzione sul punto, cfr. sin da Cass. 5 luglio 1989, n. 3223).

Per molti decenni s'è consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'orientamento diretto ad escludere l'applicabilità della disposizione dell'art. 2054 c.c., ai terzi trasportati a titolo di cortesia, ai quali risultava preclusa la possibilità sia di invocare la colpa presunta del conducente (in conformità a quanto disposto nel comma 1 della norma), sia di chiedere la condanna del proprietario del veicolo in solido con il conducente (in virtù della previsione di cui al comma 3).

L'esclusione era giustificata dall'assunto secondo cui il trasportato poteva preventivamente valutare il rischio della circolazione stradale, che conseguentemente accettava con l'instaurazione del rapporto (contrattuale o di cortesia) del trasporto. In altri termini, il sinistro costituiva rischio tipico della circolazione, prevedibile da parte del soggetto trasportato, che accettava il verificarsi dell'evento rischioso acconsentendo al "passaggio". Per di più si riteneva che il trasportato avesse minori difficoltà nel provare la responsabilità del conducente ed, in particolare, il trasportato di cortesia godeva dei soli commoda della circolazione e non poteva beneficiare della presunzione di responsabilità, la quale andava a vantaggio dei terzi non trasportati che subivano solo gli incommoda della circolazione.

In definitiva, il trasportato a titolo amichevole risultava sprovvisto sia della tutela forte dell'art. 2054 c.c., sia di quella accordata, in tema di trasporto, dall'art. 1681 c.c. (così da avvalersi della presunzione di colpa del vettore, in vista del titolo extracontrattuale della responsabilità di quest'ultimo in ipotesi di trasporto non riconducibile nè a quello oneroso, nè a quello gratuito), e non gli restava altro che proporre l'azione aquiliana dell'art. 2043 c.c., con tutte le conseguenze di carattere sostanziale e processuale ad essa connesse.

In questa logica, poi, il trasportato per amicizia, qualora fosse riuscito ad ottenere una sentenza accertativa della responsabilità del conducente dell'auto su cui viaggiava, con conseguente condanna di quest'ultimo al risarcimento del danno, non aveva alcuna possibilità di eseguirla nei confronti dell'assicuratore, il quale, per costante insegnamento giurisprudenziale (per tutte, cfr. Cass. 3 marzo 1995, n. 2471), copre solo la responsabilità del proprietario e non anche quella del conducente non proprietario.

La decisiva svolta sul tema venne da Cass. 10 ottobre 1998, n. 10629 (citata, come s'è visto, dalla sentenza che accoglie l'orientamento estensivo), la quale per la prima volta affermò che l'art. 2054 c.c., esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito); sicchè, il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il terzo comma per far valere quella solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno.

L'estensione della disciplina dell'art. 2054 c.c. al terzo trasportato e l'individuazione in essa di principi a carattere generale applicabili a tutti i soggetti che ricevano danni dalla circolazione ha indubbi riflessi sulla questione oggi trattata.

Soprattutto se si tiene conto che a Cass. n. 10629 del 1998 hanno fatto seguito altre sentenze, tra le quali Cass. 20 febbraio 2007, n. 3937, e Cass. 19 novembre 1997, n. 23918, nella quale ultima, peraltro, oltre all'applicabilità delle presunzioni di cui all'art. 2054 c.c., è dato rinvenire il principio secondo cui "a norma della L. 24 dicembre 1969, n. 990, anche i terzi trasportati sul veicolo, qualunque sia il titolo del trasporto, quindi anche di cortesia, possono esercitare l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del veicolo di cui all'art. 18 della legge suddetta, nel caso in cui sussista una condotta colposa dell'assicurato proprietario del veicolo medesimo".

Occorre, infatti, tener conto che la legge sull'assicurazione obbligatoria - sia nell'originaria formulazione della legge n. 990 del 1969, sia a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 857 del 1976 e dalla L. n. 142 del 1992 - ha conservato il riferimento alla summenzionata disposizione codicistica ("I veicoli a motore senza guide di rotaie ... non possono essere posti in circolazione ... se non siano coperti ... dall'assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall'art. 2054 c.c."). Sicchè, come fondatamente afferma Cass. n. 23294 del 2004 (quella che nella materia trattata ha accolto l'orientamento estensivo), la questione dell'estensione dell'assicurazione obbligatoria al terzo trasportato su sedile destinato al passeggero, benchè su veicolo adibito al trasporto di cose (in epoca antecedente alla L. n. 142 del 1992), necessariamente subisce l'influenza dell'evoluzione giurisprudenziale in tema di applicabilità dell'art. 2054 c.c., al terzo trasportato.

Si tratta, in altri termini, dell'indispensabile coordinamento (sfuggito ai precedenti che hanno accolto l'orientamento restrittivo) tra il microsistema giuridico dell'assicurazione obbligatoria ed il macrosistema della responsabilità civile in generale.

Coordinamento che, come si vedrà in seguito, deve essere svolto anche con riguardo alla disciplina comunitaria.

4.3 - Le direttive europee e la giurisprudenza della Corte di giustizia.
S'è già detto che gli interventi del legislatore in materia di assicurazione obbligatoria risultano per la maggior parte dettati dalla necessità di soddisfare obblighi internazionali, prima in esecuzione della Convenzione europea sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile in materia di veicoli a motore, firmata a Strasburgo - il 20 aprile 1959, poi delle direttive 84/5/CEE del Consiglio del 30 dicembre 1983 e 90/232/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1990, rispettivamente denominate Seconda e Terza direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.

La Seconda direttiva 84/5/CEE del Consiglio del 30 dicembre 1983, in particolare, mirava a dare più completa applicazione all'art. 3 della direttiva 72/166/ CEE, che imponeva a ciascuno Stato membro di adottare tutte le misure necessarie affinchè, in materia di responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli, fossero ridotte le notevoli disparità, quanto alla portata dell'obbligo di assicurazione, ancora sussistenti tra le legislazioni degli Stati membri. In particolare, le disposizioni di tale direttiva si occupavano, tra l'altro, di limitare gli effetti di talune clausole di esclusione alle relazioni tra l'assicuratore ed il responsabile del sinistro, nonchè della necessità di accordare ai membri della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altro responsabile una protezione analoga a quella degli altri terzi vittime, per quanto riguarda i danni alle persone.

Con l'ordinanza Withers, resa nella causa Causa C-158/01 fra Catherine Withers, Samantha Delaney e Motor Insurers Bureau of Ireland (MIBI), il 14 ottobre 2002, la Corte di Giustizia ha esaminato un caso di danni subiti da persona trasportata in una parte dell'autoveicolo non progettata per il trasporto di persone sedute (caso, dunque, diverso da quello in esame) e con riferimento alla prima e seconda direttiva [quest'ultima vigente all'epoca dei fatti ora in esame]. La decisione afferma il principio secondo cui "la direttiva del Consiglio 24 aprile 1912, 72/166/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e di controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità, e la seconda direttiva del Consiglio 30 dicembre 1983, 84/5/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, devono essere interpretate nel senso che esse non ostano al mantenimento in vigore di una normativa nazionale che non prevede che l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli copra i danni alle persone dei passeggeri trasportati in una parte di un veicolo diverso da un veicolo adibito a servizi pubblici su larga scala, a meno che tale parte del veicolo sia stata progettata e costruita con posti a sedere per passeggeri".

Risulta, quindi, chiaro l'orientamento comunitario diretto ad escludere dalla portata della seconda direttiva l'obbligatorietà dell'assicurazione per il solo caso del terzo trasportato in una parte di un veicolo non adibita al trasporto dei passeggeri, ma non anche per il caso (come quello in esame) del terzo trasportato in una parte del veicolo adibita al trasporto dei passeggeri. Orientamento che, dunque, conforta la tesi estensiva qui accolta.

Quanto, poi, alla terza direttiva 90/232/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1990, essa, fra le altre numerose disposizioni, si occupava di colmare le notevoli lacune che in alcuni Stati ancora sussistevano nella copertura fornita dall'assicurazione obbligatoria dei passeggeri di autoveicoli, individuando, quindi, uno specifico interesse comunitario teso alla protezione di tale categoria, particolarmente vulnerabile, di vittime potenziali della circolazione. L'art. 1 della direttiva, disponeva, infatti che, "fatto salvo l'art. 2, paragrafo 1, secondo comma della direttiva 84/5/CEE, l'assicurazione di cui all'art. 3, paragrafo 1 della direttiva 72/166/CEE copre la responsabilità per i danni alla persona di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall'uso del veicolo. Ai fini della presente direttiva, si intende per "veicolo" un veicolo quale quello definito all'art. 1 della direttiva 72/166/CEE".

La terza direttiva per l'Italia è divenuta operante a far data dal 31 dicembre 1992, successivamente quindi al sinistro relativo al giudizio oggi all'esame delle Sezioni Unite, ed il suo contenuto è stato trasfuso nella L. n. 142 del 1992.

Qui non si pone in discussione l'irretroattività di questa legge (che, come s'è detto, è stata più volte affermata dalla giurisprudenza di legittimità), tuttavia il giudice non può sottrarsi all'obbligo generale della c.d. interpretazione evolutiva e sistematica della legge (ossia della L. n. 990 del 1969, come modificata dal D.L. n. 857 del 1976), per osservare il quale egli non deve limitarsi a rievocarne il senso originario, ma al fine di evitare che la stessa legge si esaurisca nella sua primitiva formulazione, deve invece cercare di conciliare il contenuto originario della formula legislativa con la situazione esistente al momento in cui la norma deve essere applicata, così da evitare situazioni di contrasto o, comunque, di disarmonia dell'ordine giuridico.

Questa regola ermeneutica è stata sistematicamente applicata dalla S.C. (cfr. tra le più recenti Cass. sez. un. 1 luglio 2008, n. 17927) ed è divenuta ineludibile a seguito della partecipazione dell'Italia alla comunità europea, soprattutto per l'obbligo di interpretazione conforme degli Stati aderenti al diritto comunitario.

La Corte di Giustizia delle comunità europee in numerose recenti decisioni ha riaffermato quest'obbligo, quanto alle direttive della Comunità, in modo incondizionato "a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva"; con la conseguenza che il giudice nazionale è onerato anche in tal caso di un'esegesi da svolgersi quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva "onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima" (in tal senso cfr., tra le molte, le sentenze 5 ottobre 2004, C-397/01-403/01; 22 maggio 2003, C-462/99, nonchè 15 maggio 2003, C- 160/01; 13 novembre 1990, C-106/89).

Per altro verso, l'art. 117 Cost., comma 1, nel disporre che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato (e dalle Regioni) nel rispetto, oltre che della Costituzione, "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali", comporta anche l'obbligo del giudice nazionale di verificare d'ufficio la compatibilità del diritto interno con le disposizioni comunitarie. Sicchè, qualora una norma interna confligga con una norma della Convenzione, il giudice che deve farne applicazione ha il dovere di individuare, ove possibile, un'interpretazione della norma interna che possa essere compatibile con la Convenzione stessa, privilegiando, fra contrapposte soluzioni interpretative (abbiano esse dato luogo o meno ad un contrasto giurisprudenziale) quella coerente con i canoni dell'ordinamento comunitario.

Coerenza che, nel caso di specie, conduce all'interpretazione della norma in maniera estensiva dell'obbligo assicurativo.

4.4 - La composizione del contrasto.

Tutte le considerazioni sopra esposte conducono al rigetto del secondo motivo dei ricorsi incidentali della compagnia, attraverso l'affermazione del seguente principio: "In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la modifica apportata dal D.L. n. 857 nel 1976 (convertito nella L. n. 39 del 1977) della L. n. 990 del 1969, art. 1, comma 2, ha introdotto (in base ad un' interpretazione compatibile con le direttive comunitarie in materia e che tenga conto dell'evoluzione giurisprudenziale relativa alla disposizione dell'art. 2054 c.c.) la regola generale dell'estensione dell'assicurazione stessa ai danni prodotti alle persone dei trasportati, già prima dell'entrata in vigore dell'ulteriore modifica introdotta dalla L. n. 142 del 1992.

Ne consegue che nel menzionato periodo risultano coperti dall'assicurazione obbligatoria anche i danni sofferti dai soggetti trasportati su veicoli destinati al trasporto di cose, che viaggino nella parte progettata e costruita con posti a sedere per passeggeri".

5. - L'ESAME DEI RICORSI DELLA BE. (R.G. 300/04), DEL B. (R.G. 333/04) E DEL PRIMO MOTIVO DEI RICORSI DELLA COMPAGNIA (R.G. 3797/04 - 3799/04).

5.1 - Il ricorso della Be..

Fondato è il primo motivo del ricorso della Be., la quale, nel lamentare la violazione dell'art. 2059 c.c., censura la sentenza nel punto in cui le ha negato il risarcimento del danno non patrimoniale in considerazione del fatto che la responsabilità del fatto illecito è stata dichiarata sulla base della presunzione di colpa dell'art. 2054 c.c..

Facendo propria la giurisprudenza consolidatasi già da anni presso la terza sezione civile della S.C. (cfr. Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), queste sezioni unite hanno recentemente affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interprestazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.: 
(a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorchè privo di rilevanza costituzionale; 
(b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento, quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); 
(c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.

Inoltre, con due sentenze del 12 maggio 2003 (le nn. 7281 e 7283) la terza sezione civile, innovando rispetto alla precedente giurisprudenza, ha affermato che alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e art. 185 c.p. non osta il mancato, positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa debba ritenersi sussistente (come nel caso dell'art. 2054 c.c.) in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato.

Principio, questo, che ha trovato esplicito avallo nella sentenza 1^ luglio 2003, n. 233, della Corte costituzionale, che è stato successivamente ribadito con le sentenze di questa Corte n. 10987 del 14 luglio 2003, n. 4906 del 10 marzo 2004, n. 10482 del 1 giugno 2004, n. 10489 del 1 giugno 2004, n. 15179 del 6 agosto 2004, n. 15044 del 15 luglio 2005 e che occorre qui ribadire.

La sentenza impugnata deve essere, dunque, cassata sul punto ed il giudice del rinvio si adeguerà agli enunciati principi.

L'accoglimento del primo motivo del ricorso in trattazione comporta l'assorbimento del secondo, in cui la sentenza è censurata nel punto in cui ha parzialmente compensato le spese del giudizio.

5.2 - Il ricorso del B..

Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c. - vizi della motivazione) il ricorrente censura la sentenza nel punto in cui ha accolto la domanda di regresso ("seppure impropriamente qualificata come rivalsa") proposta nei suoi confronti dalla compagnia, sostenendo: che solo in grado d'appello l'assicuratore avrebbe prodotto la polizza dal cui contenuto poter dedurre il diritto alla rivalsa; che, comunque, lo stesso assicuratore non avrebbe provato la censurabilità del suo comportamento sotto il profilo dell'omessa custodia del minore, quale causa o concausa dell'evento dannoso; che la motivazione sarebbe contraddittoria sia nella valutazione delle sue dichiarazioni, sia nella confutazione delle tesi del primo giudice; che nella sentenza sarebbero state erroneamente valutate le prove assunte.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 2055 c.c., lamentando che il giudice avrebbe accolto la domanda di regresso, benchè la compagnia avesse svolto una domanda di rivalsa, ed avrebbe erroneamente fatto applicazione della menzionata disposizione in tema di solidarietà, benchè "...la solidarietà che vincola l'assicuratore al risarcimento del danno ha natura ben diversa da quella di cui all'art. 2055 c.c. e trova fondamento in altre disposizioni e non in tale specifico articolo di legge".

Le confuse e per buona parte generiche argomentazioni dei mezzi in trattazione sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

In primo luogo, deve essere rilevato che la sentenza ha accolto la domanda di regresso della compagnia, specificando che essa era stata impropriamente qualificata come di rivalsa; sicchè, il ricorrente non ha alcun interesse a dolersi in relazione ad una non riscontrabile domanda di rivalsa, rispetto alla quale egli, comunque, non risulta soccombente.

In secondo luogo, occorre osservare che il giudice offre una coerente e congrua motivazione in ordine alle ragioni (che qui non è neppure il caso di ripetere) per le quali ha ritenuto il B. responsabile del sinistro nella misura del 50%, senza cadere in alcuna contraddizione allorquando considera credibili le sue dichiarazioni, quanto alla dinamica del sinistro, perchè riscontrate dall'immediata denunzia al pronto soccorso ospedaliero e dalle conclusioni della CTU. I motivi devono essere, dunque, respinti.

5.3. - Il primo motivo dei ricorsi incidentali della compagnia.

La congruità e la logicità della motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro, della quale in precedenza s'è detto, comportano il rigetto del primo motivo dei ricorsi della compagnia, che pongono in discussione la stessa qualificabilità del sinistro in questione come inerente alla circolazione del veicolo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso della Be. e dichiara assorbito il secondo; rigetta il ricorso del B. ed i ricorsi incidentali della I. Ass.ni s.p.a.. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto del ricorso della Be. e rinvia alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche perchè provveda sulle spese del giudizio di cassazione.

 





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2011-04-06 Segnalato da: Spataro - Fonte: semaforoverde.it




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