Agenti | 2007-06-26 - Pdf - Stampa |
Tar Lazio: il ricorso di SNAA per gli agenti di assicurazione, sentenza N. 11704/2006 |
Ricorso n. 11704/2006 R.g. proposto da Sindacato nazionale agenti di assicurazione Fonte: tar lazio
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N. 11704/2006 Reg. Ric.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, composto
dai signori:
Pasquale de Lise Presidente
Antonino Savo Amodio Consigliere
Mario Alberto di Nezza Primo referendario rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 11704/2006 R.g. proposto
da
Sindacato nazionale agenti di assicurazione, in persona del presidente e
legale rappresentante p.t. ... ..., il quale agisce anche in
proprio, nella sua qualità di agente professionale iscritto all’Albo nazionale
degli agenti di assicurazione, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Vittorio
Angiolini, prof. Piergiovanni Alleva e Giovanni Simonetti, elettivamente
domiciliati presso lo studio dell’avv. Amos Androni in Roma, Via Bergamo
n. 3
contro
l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo
– Isvap, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato
per l’annullamento
2
del regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006 concernente la disciplina
dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa di cui al Titolo
IX (intermediari di assicurazione e riassicurazione) e di cui all’art. 183
(regole di comportamento) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 -
Codice delle Assicurazioni; nonché di ogni altro atto consequenziale o
presupposto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
sentiti alla pubblica udienza del 21 marzo 2007, relatore il dott. Mario
Alberto di Nezza, gli avv.ti Angiolini, Simonetti e l’avv. dello Stato E.
Arena;
ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto:
FATTO
Con ricorso ritualmente istaurato il Sindacato nazionale degli agenti di
assicurazione e il suo presidente, ... ..., agente
professionale iscritto nell’Albo nazionale degli agenti di assicurazione,
hanno impugnato il regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006 (pubblicato nella
Gazzetta ufficiale del 23 ottobre 2006), con cui l’Istituto per la vigilanza
sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap) ha delineato la
“disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa di cui
al titolo IX (intermediari di assicurazione e di riassicurazione) e di cui
all’articolo 183 (regole di comportamento) del decreto legislativo 7
settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private”.
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A sostegno del gravame gli istanti hanno denunciato i vizi di violazione
di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.
Costituitasi in resistenza l’amministrazione, alla suindicata udienza di
discussione la causa è stata infine trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il gravame ha ad oggetto il regolamento n. 5 del 2006 con cui l’Isvap
ha dato attuazione al Titolo IX, “intermediari di assicurazione e
riassicurazione”, e all’art. 183, “regole di comportamento”, del d.lgs. 7
settembre 2005, n. 209, recante il “Codice delle assicurazioni private” (di
seguito, Codice).
Ai fini della migliore comprensione della controversia è opportuno
illustrare sinteticamente la disciplina di rango primario, che, imperniata
sulla individuazione delle funzioni di vigilanza dell’Autorità di settore,
costituisce sviluppo dei principi dettati dalla direttiva 2002/92/CE sulla
intermediazione assicurativa.
Analogamente a quanto accade in altri ambiti della intermediazione
finanziaria (cfr. Testo unico bancario e Testo unico della finanza), anche nel
settore assicurativo le funzioni di vigilanza sono identificate in chiave
finalistica (ciò che costituisce il portato delle concezioni prevalenti in
materia di regulation): l’art. 3 del Codice stabilisce infatti che la vigilanza
deve avere “per scopo la sana e prudente gestione delle imprese di
assicurazione e di riassicurazione e la trasparenza e la correttezza dei
comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli altri operatori del
settore assicurativo, avendo riguardo alla stabilità, all’efficienza, alla
competitività ed al buon funzionamento del sistema assicurativo, alla tutela
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degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative,
all’informazione ed alla protezione dei consumatori”.
Questa disposizione, oltre a segnalare, attraverso il riferimento alla
“sana e prudente gestione” delle imprese assicurative e riassicurative, la
peculiarità delle relative attività imprenditoriali e la necessità che sia in
primo luogo assicurata la “stabilità” di aziende, come quelle in parola, che
raccolgono risparmio tra il pubblico (e più in generale operano nei mercati
finanziari), delinea sinteticamente i criteri cui deve ispirarsi la vigilanza,
evidenziando al contempo alcuni parametri tra l’altro idonei a orientare in
ottica sistematica l’interpretazione della complessa disciplina di dettaglio.
Così, con riferimento agli intermediari, essa impone in particolare il rispetto
degli obblighi di “trasparenza” e di “correttezza dei comportamenti”, avuto
riguardo “alla tutela degli assicurati” (e degli altri aventi diritto) e alla
“informazione” e “protezione dei consumatori”.
Il successivo art. 5, attribuite all’Isvap “le funzioni di vigilanza sul
settore assicurativo mediante l’esercizio dei poteri di natura autorizzativa,
prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva” previsti dalle disposizioni
del Codice, demanda altresì a tale Autorità il potere di adottare “ogni
regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese o per
la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati ed allo
stesso fine rende nota ogni utile raccomandazione o interpretazione” (2°
comma), stabilendo che il relativo procedimento sia rispettoso delle regole
sancite dall’art. 191, 4° e 5° comma (art. 9, 2° comma; su tali regole, v.
infra, punto 1.3).
1.1. Il Titolo IX del Codice è dedicato, appunto, agli “intermediari”.
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Definita l’“intermediazione assicurativa e riassicurativa” come l’attività
consistente “nel presentare o proporre prodotti assicurativi e riassicurativi o
nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto
dall’incarico intermediativo, nella conclusione dei contratti ovvero nella
collaborazione alla gestione o all’esecuzione, segnatamente in caso di
sinistri, dei contratti stipulati” (art. 106), all’art. 109 il Codice provvede a
istituire un “registro” (“degli intermediari assicurativi e riassicurativi”; in
breve, Registro), articolato in distinte sezioni, l’iscrizione nel quale è
condizione - necessaria, alla luce dell’espressa riserva stabilita dalla norma -
per l’esercizio delle specifiche attività ivi previste (alla fonte regolamentare
è demandata la disciplina delle modalità di “formazione” e di
“aggiornamento”).
Più in dettaglio, il Codice individua cinque categorie di soggetti (art.
109, 2° comma):
a) gli agenti di assicurazione, ossia gli “intermediari che agiscono in
nome o per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione”
(sez. A);
b) i mediatori di assicurazione o di riassicurazione o broker, quali
“intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di
rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione” (sez. B);
c) i produttori diretti, i quali, anche in via sussidiaria rispetto all’attività
svolta a titolo principale, “esercitano l’intermediazione assicurativa nei rami
vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena responsabilità
di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi di orario o di
risultato esclusivamente per l’impresa medesima” (sez. C);
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d) le banche autorizzate, gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco
speciale di cui all’articolo 107 del testo unico bancario, le società di
intermediazione mobiliare autorizzate, la società Poste Italiane - Divisione
servizi di bancoposta (sez. D);
e) i soggetti addetti all’intermediazione, “quali i dipendenti, i
collaboratori, i produttori e gli altri incaricati degli intermediari iscritti alle
sezioni di cui alle lettere a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al
di fuori dei locali dove l’intermediario opera” (sez. E).
L’articolo in esame, che consente altresì l’iscrizione di agenti e broker
persone fisiche, “abilitati ma temporaneamente non operanti, per i quali
l’adempimento dell’obbligo di copertura assicurativa […] è sospeso sino
all’avvio dell’attività” (3° comma), sancisce inoltre un generale divieto di
“contemporanea iscrizione” dello stesso soggetto in più sezioni (2° comma,
cpv.).
Gli artt. 110, 111 e 112 contemplano i requisiti per l’iscrizione
rispettivamente delle persone fisiche, dei produttori diretti e delle società.
1.2. L’art. 183 del Codice, contenuto nel Titolo XIII (“trasparenza delle
operazioni e protezione dell’assicurato”), dètta le “regole di
comportamento” delle imprese e degli intermediari “nell’offerta e
nell’esecuzione dei contratti”.
Esso demanda all’Isvap l’adozione di disposizioni regolamentari
“relative alla determinazione delle regole di comportamento da osservare
nei rapporti con i contraenti, in modo che l’attività si svolga con correttezza
e con adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze dei singoli”, con le quali:
i) si tenga conto “delle differenti esigenze di protezione dei contraenti e
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degli assicurati, nonché della natura dei rischi e delle obbligazioni assunte
dall’impresa”; ii) si individuino “le categorie di soggetti che non necessitano
in tutto o in parte della protezione riservata alla clientela non qualificata”;
iii) si determinino “modalità, limiti e condizioni di applicazione delle
medesime disposizioni nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti di
assicurazione dei rami danni, tenendo in considerazione le particolari
caratteristiche delle varie tipologie di rischio”.
1.3. Nell’ambito della disciplina delle “funzioni di vigilanza”
dell’Autorità di settore (Tit. XIV), assume portata centrale l’art. 191, che per
l’esercizio delle stesse richiede l’adozione da parte dell’Isvap di “norme
regolamentari” concernenti un’ampia serie di materie (quali ad esempio la
correttezza della pubblicità e le regole di presentazione e di comportamento
delle imprese e degli intermediari nell’offerta di prodotti assicurativi, gli
obblighi informativi prima della conclusione e durante l’esecuzione del
contratto, la verifica dell’adeguatezza delle procedure di gestione del
rischio, l’adeguatezza patrimoniale, ivi compresa la formazione delle riserve
tecniche, la copertura e la valutazione delle attività, la composizione e il
calcolo del margine di solvibilità delle imprese di assicurazione e di
riassicurazione; gli schemi di bilancio, il piano dei conti, le forme e le
modalità di raccordo fra il sistema contabile ed il piano dei conti; ecc.).
Tali “norme”, contenute in atti che presentano significative somiglianze
con le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia (non a caso il 6° comma
dell’art. 191 precisa che “i regolamenti adottati dall’ISVAP sono fra loro
coordinati e formano un’unica raccolta delle istruzioni di vigilanza”), ma
anche con i regolamenti Consob, devono essere conformi “al principio di
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proporzionalità per il raggiungimento del fine con il minor sacrificio per i
soggetti destinatari”, “coerenti con le finalità della vigilanza […]” e ispirate
al perseguimento “delle esigenze di competitività e di sviluppo
dell’innovazione nello svolgimento delle attività dei soggetti vigilati” (3°
comma).
A ulteriore presidio di questi obiettivi la legge delinea un particolare
iter di adozione delle “norme” in questione, prevedendo che l’Organo di
vigilanza: a) dia corso a “procedure di consultazione aperte e trasparenti che
consentano la conoscibilità della normativa in preparazione e dei commenti
ricevuti anche mediante pubblicazione sul sito Internet dell’Istituto”; ciò
appare garantito dalla prescrizione che “all’avvio della consultazione”
l’Isvap rende noto “lo schema del provvedimento ed i risultati dell’analisi
relativa all’impatto della regolamentazione, che effettua nel rispetto dei
principi enunciati all’articolo 12 della legge 29 luglio 2003, n. 229” (art.
191, 4° comma); b) possa richiedere, in ogni fase del procedimento, “il
parere del Consiglio di Stato”; c) si esprima “pubblicamente sulle
osservazioni ricevute, a seguito della procedura di consultazione, e sul
parere eventualmente richiesto al Consiglio di Stato” (5° comma).
Valga infine ricordare che su questi profili è intervenuto di recente l’art.
23 l. 28 dicembre 2005, n. 262 (legge sul risparmio), relativo ai
“procedimenti per l’adozione di atti regolamentari e generali” di Banca
d’Italia, Consob, Isvap e Covip.
Ai sensi di questa disposizione, i relativi provvedimenti “devono essere
motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore
ovvero della materia su cui vertono” e “sono accompagnati da una relazione
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che ne illustra le conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle
imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei
risparmiatori”.
Anche nella definizione del contenuto, le Autorità di vigilanza sono
tenute al rispetto del “principio di proporzionalità, inteso come criterio di
esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore
sacrificio degli interessi dei destinatari”; a tal scopo, esse “consultano gli
organismi rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi
finanziari e dei consumatori”.
2. Tanto premesso, il Collegio ritiene che il gravame – prospettante vizi
che attengono sia al procedimento di formazione del Regolamento sia ad
alcune disposizioni ivi contenute - sia infondato nel merito, ciò che permette
di prescindere dall’apprezzamento delle eccezioni preliminari spiegate dalla
difesa erariale (carenza di legittimazione attiva del Sindacato nazionale
agenti, stante la sussistenza di posizioni differenziate degli associati, e
omessa integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre categorie di
operatori quali produttori diretti e intermediari iscritti nella sezione D del
Registro).
2.1. Ragioni non solo logiche consigliano di cominciare l’esame del
thema decidendum dai profili di doglianza il cui accoglimento è suscettibile
di portare alla caducazione dell’intero Regolamento, ossia quelli concernenti
il fondamento del potere normativo dell’Isvap nonché la sua corretta
esplicazione dal punto di vista procedimentale (cfr. premesse in fatto e
premesse del motivo sub A nonché motivo sub B ric.).
Gli istanti deducono anzitutto che le norme primarie recanti intestazione
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all’Isvap della potestà regolamentare in materia di intermediazione (quali gli
artt. 191, 109, 110, 112, 116, 120, 183) riguarderebbero specifici oggetti e
non già la complessiva disciplina del settore; donde l’illegittimità del
Regolamento in quanto esteso a tutti gli ambiti dell’attività intermediativa.
Più in dettaglio, l’art. 120 Cod., non indicando principi o criteri direttivi,
conterrebbe una delega “in bianco”, atta a “svuotare” la funzione
regolamentare della connotazione attuativa di norme sovraordinate fino a
“conferirle un ruolo ‘libero’ e per ciò stesso illegittimo in materie coperte da
riserva di legge quali l’iniziativa economica e l’ordinamento delle
professioni” (artt. 41 e 33 Cost.).
Essi lamentano poi la violazione dell’art. 23 l. n. 262 del 2005, non
avendo l’amministrazione assolto all’obbligo motivazionale richiesto dalla
norma, consistente nella enunciazione delle scelte di regolazione e di
vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono e nella
predisposizione di una relazione atta ad illustrare le conseguenze di dette
scelte sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e
sugli interessi degli investitori e risparmiatori; vizio aggravato dall’assenza
dalle “consultazioni aperte e trasparenti” prescritte dall’art. 191, 4° comma,
Cod. (i pareri dei vari interessati sarebbero stati infatti acquisiti in modo
“riservato”, senza che gli uni potessero conoscere i commenti e le
osservazioni degli altri).
Le censure non meritano accoglimento.
Osserva il Collegio che sul fondamento dei poteri normativi dell’Isvap
si è autorevolmente affermato, all’esito di un’accurata ricostruzione del
quadro giuridico condotta sul duplice versante della “copertura”
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costituzionale e comunitaria delle Autorità indipendenti e del sistema delle
fonti (siccome venutosi nel tempo ad articolare per effetto degli interventi di
“riassetto” indotti dalla più recente normativa primaria), che la loro base
giustificativa vada in ultima analisi rinvenuta nel principio di legalità, ciò
che permette di superare de plano i prospettati dubbi di incostituzionalità. È
stata data in particolare soluzione positiva al quesito se dette Autorità
possano adottare regolamenti “autonomi” (o indipendenti, secondo la
tradizionale terminologia riferita alle attribuzioni regolamentari del
Governo), in ragione della configurazione, in certi casi, di una maggiore
discrezionalità di detti organismi anche nell’esercizio delle loro funzioni
normative; soluzione di cui è stata attestata la coerenza col loro ruolo, che
non è solo quello di eseguire e dare attuazione, ma regolare e quindi anche
regolamentare, in conformità alle esigenze che di volta in volta si presentano
nel settore di afferenza, anche e soprattutto sulla base del dato
dell’esperienza e della prassi, l’azione di quanti vi operano.
Si tratta dunque di regolamenti certamente configurabili, sempre che si
accerti, caso per caso, la sussistenza della condizione che la materia regolata
non sia sottoposta a riserva di legge e che nella stessa legge istitutiva
dell’Autorità, o comunque in altra fonte primaria (anche di livello
comunitario), siano rinvenibili i criteri di fondo per l’esercizio del potere
normativo dell’autorità di regolazione.
L’esame del provvedimento impugnato non fornisce al Collegio
elementi per rilevare la fondatezza del vizio denunciato.
Non solo il chiaro disposto dell’art. 5, 2° comma, Cod., a tenore del
quale l’Isvap può adottare “ogni regolamento necessario [...] per la
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trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati”,
dimostra come anche per il settore della vigilanza assicurativa il legislatore
abbia ritenuto di mutuare la tecnica della delegificazione adottata con
successo nelle materie della vigilanza bancaria e dei mercati finanziari
(mentre l’art. 191 Cod. definisce, come segnalato dalla difesa erariale, la
cornice di legalità entro cui detto potere deve essere esercitato), ma le stesse
esigenze di tutela degli assicurati, sottese alla direttiva 2002/92/CE e fatte
proprie dal Codice, offrono la chiave di lettura della nuova normativa
secondaria, permettendo di individuarne agevolmente le finalità e di fornire
un quadro di riferimento idoneo a fugare i dubbi circa la stessa liceità
dell’attività di produzione di norme secondarie; e tanto in modo del tutto
indipendente dalla puntuale individuazione di una disposizione primaria di
“delega”.
Passando alla lamentata violazione dell’art. 23 l. risparmio, ritiene il
Collegio che il Regolamento non esibisca i denunciati profili di illegittimità.
La corposa attività di consultazione espletata, oltre ad aver permesso
l’interlocuzione avuta di mira dalla norma primaria, ha invero consentito di
dare adeguatamente conto delle ragioni poste a base delle scelte operate, dal
momento che nelle risposte alle osservazioni pervenute l’Isvap ha proceduto
al compiuto esame di una serie di rilevanti questioni e si è di volta in volta
curato di esporre anche i principi di fondo del nuovo assetto.
Si consideri infine che con l’introduzione, sempre ad opera dell’art. 23,
dell’obbligo di revisione triennale della disciplina di vigilanza (3° comma:
le Autorità di vigilanza “sottopongono a revisione periodica, almeno ogni
tre anni, il contenuto degli atti di regolazione da esse adottati, per adeguarli
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all’evoluzione delle condizioni del mercato e degli interessi degli investitori
e dei risparmiatori”), il legislatore, ispirandosi al modello statunitense delle
c.d. sunset laws, ha inteso garantire la continua aderenza dell’assetto
regolatorio alle emergenze fattuali, il che vale ad attenuare definitivamente i
rischi paventati dagli istanti circa la sostanziale adeguatezza (se non proprio
correttezza) delle scelte assunte (le quali infatti, una volta saggiatane la
tenuta nella prassi, potranno essere sottoposte alle più opportune
rimeditazioni).
Da quanto detto segue l’infondatezza delle censure.
2.2. La restante parte dell’impugnativa attiene a specifiche disposizioni
regolamentari in materia di accesso all’attività, di esercizio della stessa e di
infrazioni e sanzioni disciplinari (cfr. sub A, punti 1, 2 e 3 ric.).
2.2.1. Cominciando dall’accesso all’attività intermediativa (A.1 ric.), gli
istanti lamentano anzitutto l’illegittimità degli artt. 9 e 10 Reg., nella parte
in cui, nel determinare le modalità di svolgimento della prova valutativa
prevista per l’iscrizione nella sezione A del Registro, richiedono ai candidati
il possesso di un diploma di scuola media superiore. Si tratterebbe a loro
dire di una previsione: a) priva di base giuridica di riferimento, alla luce del
testo dell’art. 109 Cod. (che demanda all’Isvap unicamente l’individuazione
delle modalità di svolgimento della prova, ma non l’introduzione di nuovi
requisiti); b) in contrasto con l’art. 110 Cod. (che prevede l’esame di
idoneità al fine di accertare la conoscenza di “materie tecniche, giuridiche
ed economiche rilevanti nell’esercizio dell’attività”); c) comunque inidonea
a salvaguardare le esperienze specifiche maturate da coloro che oggi
operano nel settore delle assicurazioni (quali, ad esempio, i sub-agenti).
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La doglianza non merita condivisione.
In disparte la circostanza, giustamente ricordata dall’amministrazione,
che il requisito in contestazione è richiesto soltanto ai nuovi iscritti nel
Registro, rimanendo salva la possibilità di iscrizione per i soggetti che sulla
base della precedente normativa abbiano maturato il diritto a iscriversi entro
il 31 dicembre 2006 (indipendentemente, dunque, dal titolo di studio
posseduto), ritiene il Collegio che la censurata norma regolamentare (art. 9,
2° comma) costituisca corretta attuazione dell’esigenza, espressa dalla
direttiva 2002/92/CE, che gli intermediari abbiano cognizioni adeguate
rispetto all’attività da svolgere. Il particolare significato di questo principio
nel nuovo assetto dell’intermediazione assicurativa è dimostrato dagli
strumenti previsti per garantirne l’effettività, operanti non solo al momento
dell’accesso al settore (occorrendo superare una prova di idoneità
“consistente in un esame su materie tecniche, giuridiche ed economiche”; v.
art. 110, 2° comma, Cod.), ma anche nel corso della vita professionale degli
interessati (sui quali incombono puntuali obblighi di aggiornamento).
Ne segue che la previsione in esame risponde all’esigenza che in questo
importante ambito agiscano soggetti in possesso di un adeguato grado di
scolarizzazione, maggiormente idonei, come tali, ad acquisire e gestire le
complesse nozioni tecniche, giuridiche ed economiche che l’esercizio
dell’intermediazione (come agente e come broker) richiede.
Gli istanti si dolgono, ancora, della composizione della commissione
esaminatrice stabilita dall’anzidetto art. 10 Reg. (essa è formata da quattro
dipendenti, due dirigenti e due funzionari, dell’Isvap e da due docenti
universitari), non essendo giustificata l’assenza di rappresentanti delle
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categorie interessate in considerazione del fatto che per l’accesso a tutte le
professioni “protette” sarebbe a loro dire sempre prevista una quota di
commissari di estrazione professionale.
Il motivo non può essere condiviso.
Chiarito anzitutto che le inerenti disposizioni primarie non impongono
la presenza nella commissione di esponenti degli intermediari assicurativi, è
da dire che il parallelismo istituito con il regime dell’accesso alle
professioni c.d. liberali non è conferente, alla luce di quanto giustamente
rimarcato dalla resistente circa l’inesistenza di un “ordine professionale”
degli agenti assicurativi e circa l’esclusione, al fine di evitare conflitti di
interesse, dei rappresentanti di categoria negli organi preposti
all’accertamento di idoneità per l’accesso ad attività assimilabili a quelle in
esame (cfr. art. 11, comma 3°, l. n. 248 del 2006, sugli esami per l’iscrizione
nel ruolo degli agenti di affari in mediazione).
Altro profilo di censura attiene all’obbligo per agenti e brokers di
dotarsi di copertura assicurativa per la responsabilità civile ai fini
dell’iscrizione nel Registro: l’art. 11, 2° comma (lettere a e c), Reg.
vieterebbe la possibilità di prevedere franchigie, stabilendo inoltre requisiti
di copertura del rischio non perspicui.
È sufficiente rilevare al riguardo come l’art. 11 si limiti a stabilire la
mera inopponibilità, non già il divieto, di “franchigie o scoperti” nei
confronti dei terzi danneggiati, i quali “devono ricevere, nel limite dei
massimali garantiti, l’integrale ristoro del danno subito”. Ciò dimostra
l’infondatezza in fatto della critica. Restano invece non percepibili i motivi
della lamentata irragionevolezza dei requisiti stabiliti, appalesandosi la
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censura per tale parte inammissibile.
L’ultimo aspetto di doglianza concerne l’obbligo di impartire
un’adeguata formazione professionale (concretante uno dei requisiti di
iscrizione al Registro).
Quanto agli intermediari della sezione C (produttori diretti), l’art. 111,
2° comma, Cod. stabilisce che “le imprese per conto delle quali agiscono i
produttori diretti provvedono ad impartire una formazione adeguata in
rapporto ai prodotti intermediati ed all’attività complessivamente svolta”; il
successivo 4° comma si riferisce invece ai soggetti iscritti nella sezione E, i
quali “devono possedere cognizioni e capacità professionali adeguate
all’attività ed ai prodotti sui quali operano, accertate mediante attestato con
esito positivo relativo alla frequenza a corsi di formazione professionale a
cura delle imprese o dell’intermediario assicurativo”.
A dire degli istanti, l’Isvap avrebbe, in difetto di attribuzione di potere
regolamentare: a) previsto in dettaglio le modalità della formazione
organizzata dai produttori diretti (art. 17 Reg., che prevede un corso teorico
di 60 ore, tenuto da docenti specializzati, con test finale); b)
irragionevolmente esteso ai soggetti della sezione E le stesse prescrizioni
(art. 21 Reg., secondo cui questi ultimi devono “essere in possesso di
cognizioni e capacità professionali adeguate all’attività svolta ed ai contratti
intermediati, acquisite mediante la partecipazione a corsi di formazione
conformi ai criteri previsti dall’art. 17, comma 2, tenuti od organizzati a
cura degli intermediari per i quali operano o delle relative imprese
preponenti”); c) delineato un sistema illogico, nel quale gli agenti sarebbero
tenuti a impartire la formazione ai sub-agenti prima ancora della stipula del
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contratto di sub-agenzia.
La censura è infondata.
Richiamate le superiori considerazioni sull’esercizio della potestà
normativa secondaria, agevolmente riconducibile alla menzionata clausola
generale dell’art. 5 Cod. e comunque, in questo caso, postulata dalla
disposizione sovraordinata in ragione dell’assenza di specificazioni sulle
concrete modalità di organizzazione dei corsi formativi (onde il
Regolamento provvede a stabilire una base minima che possa far
ragionevolmente ritenere raggiunto il risultato dell’adeguata preparazione
degli aspiranti all’iscrizione), ritiene il Collegio di non ravvisare alcuna
incongruenza nell’art. 21 Reg.: se, per un verso, la circostanza che i corsi
non devono necessariamente esser “tenuti” (come per i produttori diretti),
ma possono essere anche “organizzati a cura” degli intermediari per i quali
gli addetti della sezione E operano, costituisce una ragionevole
differenziazione commisurata alla tipologia degli interessati, va per altro
verso rilevato che la norma non presenta la denunciata illogicità laddove
presuppone che l’accesso al Registro non consegua immediatamente alla
stipula del mandato sub-agenziale, essendo senz’altro possibile che i
preponenti curino prioritariamente la formazione dei loro collaboratori.
Ciò è del resto chiarito negli “Esiti della pubblica consultazione” (pag.
33), in cui, respinta la proposta avanzata da alcuni interessati di
differenziare gli obblighi in esame sul rilievo che i requisiti formativi
previsti dall’articolo 17 Reg. costituiscono “un livello minimo necessario a
garantire una qualificazione professionale per tutti coloro che, non
sostenendo una prova d’idoneità, intendano svolgere attività di
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intermediazione assicurativa o riassicurativa”, si ricorda che il requisito di
professionalità in argomento è elevato dalla direttiva 2002/92/CE alla
stregua di “condizione necessaria per il perfezionamento dell’iscrizione”
(cfr. art. 4, par. 6).
2.2.2. Passando alle doglianze attinenti all’esercizio dell’attività di
intermediazione (v. punto A.2 ric.), gli istanti contestano anzitutto le norme
sugli “obblighi di comunicazione e di aggiornamento professionale”.
Essi lamentano in particolare l’illegittimità:
- dell’art. 36, che impone agli agenti e ai brokers di comunicare la
perdita di taluno dei requisiti per l’iscrizione al Registro “entro cinque
giorni dal verificarsi dell’evento”, termine il cui rispetto pone seri problemi
soprattutto nel caso in cui l’“evento” colpisca uno dei collaboratori o
subagenti dell’intermediario (1° comma, ult. cpv.); a carico degli agenti
sarebbero cioè imposti compiti di vigilanza tipici dell’ente pubblico,
peraltro impossibili di assolvere nelle ipotesi in cui l’intermediario non sia
in grado di venire a conoscenza dell’evento riguardante il collaboratore
(come ad esempio avviene per le sentenze di patteggiamento, non iscritte nel
certificato penale ottenibile dai privati);
- dell’art. 38, relativo ai corsi di aggiornamento professionale (della
durata di 30 ore e con un test finale) per gli iscritti nella sezione E, corsi che
devono essere “tenuti od organizzati a cura dell’intermediario che se ne
avvale o delle relative imprese preponenti” nei confronti di tutti i
collaboratori dell’intermediario, anche se operanti esclusivamente
all’interno dei suoi locali; quest’obbligo avrebbe un’ampiezza irragionevole
(essendo equivalente a un corso universitario di cinque crediti), non sarebbe
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commisurato alla tipologia di preponente (essendo incongruo trattare allo
stesso modo compagnie assicurative e agenti) e prescinderebbe dalle
pregresse esperienze lavorative degli addetti, sicuramente valutabili in
termini di conseguita preparazione professionale.
Entrambi questi articoli sarebbero stati poi adottati in totale carenza di
potere.
Le doglianze sono infondate.
Quanto al primo punto, è evidente che l’obbligo di comunicazione
previsto dalla norma, strumentale all’“aggiornamento” del Registro (le cui
modalità sono demandate alla fonte regolamentare dall’art. 109, 1° comma,
Cod., norma nella quale può essere rinvenuto, in aggiunta agli altri
parametri più volte citati, il fondamento del potere esercitato dall’Isvap),
non può certo intendersi in senso così ampio da prefigurare la creazione di
una anomala figura di incaricato di pubblico servizio (quale sarebbe, nella
lettura dei ricorrenti, l’agente tenuto a comunicare la perdita dei requisiti del
proprio collaboratore), dovendosi in proposito condividere le deduzioni
della difesa erariale sul fatto che la norma è in realtà preordinata a
sanzionare la negligenza nell’effettuazione delle formalità comunicative, nel
senso cioè che l’interessato non può rimanere inerte qualora abbia avuto
contezza dell’avvenuta perdita dei requisiti dell’addetto.
Anche la critica riguardante gli obblighi di impartire corsi di
formazione non coglie nel segno, alla luce delle ridette prescrizioni
comunitarie sulla esigenza di assicurare la costante professionalità degli
operatori (artt. 3, par. 3, e 4, par. 5, dir. 2002/92/CE), la cui enunciazione in
forma generica postula un’adeguata (e necessaria) opera di specificazione.
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Le disposizioni regolamentari provvedono poi a differenziare le modalità di
svolgimento dei corsi in relazione alla tipologia di intermediario interessato
(l’art. 38, 3° comma, stabilisce che per gli iscritti nella sezione E e per gli
addetti operanti “all’interno” dei locali dell’intermediario i corsi “sono
tenuti od organizzati a cura dell’intermediario che se ne avvale o delle
relative imprese preponenti”, mentre per i produttori diretti “i corsi sono
tenuti od organizzati a cura delle imprese per le quali tali soggetti operano”),
donde l’infondatezza della doglianza di irragionevolezza della disciplina.
Vanno parimenti respinte le censure relative alle “regole di
comportamento” nei confronti della clientela e dei relativi obblighi di
informazione, siccome sancite:
- dall’art. 47, 1° comma, lett. b, nella parte in cui impone l’osservanza
(oltre che delle norme di legge e di regolamento, anche) delle “procedure e
istruzioni dell’impresa”, disposizione a dire degli istanti suscettibile di
interpretazioni tese a ridurre l’autonomia professionale dell’agente per
effetto dei potenziali conflitti tra prescrizioni di matrice pubblicistica e
istruzioni impartite dall’imprenditore.
È infatti condivisibile il rilievo dell’amministrazione circa la non
attualità del testo della disposizione contestata, sostituita nella stesura finale
del Regolamento da altra versione chiaramente evidenziante il reale
significato della norma (precisandosi che gli intermediari devono “osservare
le disposizioni legislative e regolamentari, anche rispettando le procedure e
le istruzioni a tal fine impartite dalle imprese per le quali operano”);
- dall’art. 47, 3° comma, sulle modalità di pagamento dei premi (che ai
sensi di detta disposizione può avvenire soltanto a mezzo di “assegni
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bancari, postali o circolari, muniti della clausola di non trasferibilità,
intestati o girati all’impresa per conto della quale operano o a quella di cui
sono distribuiti i contratti, oppure all’intermediario, espressamente in tale
qualità” o di “ordini di bonifico, altri mezzi di pagamento bancario o
postale, sistemi di pagamento elettronico”) e sul contestuale divieto per gli
intermediari di “ricevere denaro contante a titolo di pagamento di premi
relativi a contratti di assicurazione sulla vita […]”, con l’eccezione dei
contratti di assicurazione contro i danni per i premi di importo superiore a
cinquecento euro annui per ciascun contratto”, a dire dei ricorrenti
contrastante con l’art. 1277 cod. civ..
Ed invero la norma, oltre a non apparire irragionevole alla luce sia
dell’espressa esclusione di questo divieto per le polizze obbligatorie (ossia
quelle “per le coperture del ramo responsabilità civile auto e per le relative
garanzie accessorie, se ed in quanto riferite allo stesso veicolo assicurato per
la responsabilità civile auto”) sia della possibilità di estinguere
l’obbligazione con strumenti di ampia diffusione (quali ad esempio i
bollettini di conto corrente postale), trova il suo fondamento primario nelle
esigenze di maggior tutela del consumatore, le quali, come si è detto,
ispirano l’intera disciplina dell’intermediazione assicurativa (ciò è
agevolmente desumibile dalle disposizioni degli artt. 117 e 118 del Codice
sulla separazione patrimoniale e sull’adempimento delle obbligazioni
pecuniarie) e in quelle della tracciabilità dei flussi monetari per diverse
finalità (antiriciclaggio, repressione delle truffe o dell’evasione fiscale,
ecc.); esigenze che in analogo ambito hanno portato la Consob a prevedere
limitazioni all’uso del contante per i versamenti effettuati ai promotori
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finanziari (cfr. art. 96, 6° comma, del regolamento Consob del 1° luglio
1998, recante attuazione del d.lgs. n. 58 del 1998, c.d. Testo unico della
finanza);
- dall’art. 49, sulle informative da rendere in sede di negoziazione
contrattuale e sulla documentazione dell’attività svolta, reputate dagli istanti
– che si dolgono della pletora di adempimenti richiesti – assolutamente non
necessarie ai fini di una corretta informazione agli assicurati (tali obblighi
non sarebbero inoltre attenuati nei casi di contratti in forma collettiva; art.
56 Reg.).
Al riguardo è sufficiente osservare che l’art. 120, 4° comma, lett. b,
Cod. espressamente demanda alla fonte regolamentare la determinazione,
tenendo conto delle esigenze di protezione dei consumatori, delle “modalità
con le quali è fornita l’informazione al contraente”. In attuazione della
norma primaria l’Isvap ha proceduto alla individuazione di una nutrita serie
di adempimenti, i quali, pur potendo in effetti presentare aspetti di onerosità,
appaiono tuttavia necessari per rendere all’assicurato ogni notizia utile alla
formazione di un serio convincimento in ordine all’esercizio delle scelte di
investimento. Né l’art. 120 Cod. contrasta con principi sovraordinati,
intendendo effettuare un bilanciamento strumentale (quantomeno)
all’attenuazione dei rischi derivanti dalle rilevanti asimmetrie informative
che notoriamente caratterizzano anche il settore in considerazione;
- dall’art. 54, in materia di obblighi di separazione patrimoniale, nella
parte in cui l’Isvap, in difetto di attribuzione di potere regolamentare, ha
fissato un termine massimo di cinque giorni per il trasferimento dei premi
pagati dall’agente all’impresa preponente (2° comma), intromettendosi in un
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rapporto contrattuale il cui contenuto andrebbe lasciato alla libera
determinazione delle parti (nella prassi commerciale il termine sarebbe di
dieci giorni); la regola non potrebbe inoltre far leva su inesistenti esigenze di
protezione dei consumatori, alla luce della regola secondo cui il pagamento
effettuato tramite l’intermediario (o i suoi collaboratori) si considera
direttamente effettuato all’impresa di assicurazioni.
Su questo punto possono essere peraltro richiamate le precisazioni
contenute negli “Esiti” cit. (pp. 81 ss.), in cui si chiarisce come la norma
non si riferisca alla rimessa periodica dei premi dall’intermediario alle
imprese (che è e resta regolata nell’ambito dei rapporti contrattuali
intercorrenti tra tali soggetti), ma al “precedente momento del versamento,
nel conto corrente separato, dei premi pagati dal contraente nelle mani
dell’intermediario”; si tratta dunque di un versamento che, a tutela dei
consumatori, deve avvenire entro un termine massimo (sia pure molto
breve), in ossequio alla regola della separatezza patrimoniale.
2.2.3. L’ultima serie di censure attiene all’impianto sanzionatorio
delineato dall’atto impugnato (sub A.3 ric.)
L’art. 120, 4° comma, lett. d, Cod. (l’Isvap disciplina con regolamento:
“[…] le violazioni alle quali si applicano le sanzioni disciplinari previste
dall’articolo 329”) sarebbe a dire degli istanti generico, demandando
all’autorità amministrativa il compito (proprio del legislatore) di
determinare le condotte illecite. Mancherebbe inoltre la necessaria
proporzionalità tra illecito e sanzione: se l’art. 329, 2° comma, Cod. collega
la radiazione a “fatti di eccezionale gravità” e la censura a “fatti di
particolare gravità”, il Regolamento avrebbe stabilito di sanzionare con la
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censura irregolarità “semplici” (quali, tra l’altro, l’accettazione di mezzi di
pagamento diversi da quelli prescritti dall’art. 47, la violazione di regole di
comportamento o degli obblighi di formazione dei dipendenti, o della tenuta
di uno qualsiasi dei documenti correlati all’obbligo di informazione),
conferendo altresì il potere di irrogare la radiazione nel caso di recidiva.
In questa ottica, la disciplina dell’art. 62 Reg. (“violazioni alle quali si
applicano le sanzioni disciplinari”) sarebbe il frutto di scelte dell’Isvap
talmente discrezionali da rasentare l’arbitrio.
Ulteriore illegittimità risiederebbe della intestazione della potestà
punitiva a un organo nel quale sono assenti esponenti delle categorie
interessate.
Le censure sono infondate.
In relazione alla pretesa indeterminatezza delle fattispecie
sanzionatorie, ricorda il Collegio che la giurisprudenza si è pronunciata su
un tema analogo. Esaminando l’art. 144 d.lgs. n. 385 del 1993 (c.d. Testo
unico bancario), del quale era messa in dubbio la conformità agli artt. 23 e
97 Cost. sotto il profilo del mancato rispetto dell’obbligo di tipicità e
determinatezza delle fattispecie assoggettate a sanzione amministrativa
pecuniaria, il giudice ordinario ha anzitutto precisato che l’art. 1 l. n. 689 del
1981 non contiene, a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali (per i
quali opera il principio di stretta legalità previsto dall’art. 25, 2° comma,
Cost.) una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il
precetto sanzionatorio - avente base nella legge - mediante norme
regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico specialistico
cui si riferiscono: muovendo da tale premessa, essa ha escluso che l’art. 144
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potesse esser qualificato alla stregua di una norma punitiva “in bianco”, in
quanto i poteri della Banca d’Italia di emanare istruzioni e disposizioni in
tema di vigilanza informativa (art. 51) e di vigilanza regolamentare (art. 53),
lungi dall’essere lasciati al mero arbitrio di detta Autorità, sono esercitati in
conformità a ben individuati principi e direttive (anche di livello europeo), a
strumenti normativi primari e secondari e ad altri criteri oggettivi, dettagliati
e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua
evoluzione della materia, le norme di base (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 marzo
2004, n. 5743; v. anche Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2003, n. 17602, sulle
sanzioni in materia di intermediazione finanziaria).
Analogo ragionamento può svolgersi in relazione agli artt. 120 e 329
Cod., i quali, pur provvedendo a costruire un regime di responsabilità degli
intermediari “in chiave tutta disciplinare” (come è stato autorevolmente
detto) parallelo a quello tradizionalmente incentrato sulla irrogazione di
sanzioni amministrative pecuniarie, tipicamente afflittive, sono integrati
dall’art. 62 attraverso una casistica pienamente rispettosa dei principi
appena ricordati (parimenti applicabili alla specie).
Né appare irragionevole l’apprezzamento di gravità delle condotte
illecite, posto che la qualificazione in termini di gravità “semplice” (art. 329,
2° comma) delle violazioni per le quali l’art. 62 prevede la censura è il frutto
di una opinione dei ricorrenti non supportata da alcun elemento di
convincimento, mentre l’aggravamento previsto per il caso di recidiva
risulta senz’altro coerente con le esigenze di garantire l’effettività ed
efficacia del sistema repressivo.
La mancata partecipazione di esponenti delle categorie interessate al
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Collegio di garanzia istituito dall’art. 331 Cod. non appare, infine, né
irragionevole né in contrasto con principi e norme di rango sovraordinato,
posto che la composizione di quest’organo (formato da “un magistrato con
qualifica non inferiore a consigliere della corte di cassazione o equiparato,
anche a riposo, con funzioni di presidente ovvero da un docente
universitario di ruolo, e da due componenti esperti in materia assicurativa,
questi ultimi designati sentite le associazioni maggiormente
rappresentative”) ne attesta le caratteristiche di indipendenza e neutralità;
d’altronde, le esigenze dei destinatari della vigilanza restano preservate dal
parere (obbligatorio) che essi sono chiamati a rendere sulla designazione
degli esperti.
3. In ragione di quanto osservato, il ricorso è infondato e va pertanto
respinto.
La peculiarità e complessità delle questioni affrontate consentono di
ravvisare giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese
di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima,
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Spese compensate.
La presente sentenza sarà eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2007.
Il Presidente
L’estensore