Danno esistenziale | 2008-06-14 - Pdf - Stampa |
Cassazione sez III civile Sentenza del 8 ottobre 2007, n. 20987 |
"Se si dovesse accogliere la proposta della figura unitaria del danno esistenziale, la definizione analitica data dal codice delle assicurazioni, sicuramente includerebbe anche una componente esistenziale, integrando la valutazione tabellare, per il principio generale della riparazione integrale del danno alla salute." - Photo by nota Fonte: cassazione
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Motivi della decisione
Il ricorso merita accoglimento in ordine al primo motivo (sulla ammissibilità degli interventi) mentre deve essere rigettato per il secondo, per le seguenti considerazioni.
Nel primo motivo si deduce: “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 105, 163 n.7, 167, 180, 183, 267, 268, 344, 345, 404, 419 Cpc; art.12 primo comma e 15 disp. prel. cod. civile; art. 3, 24, 111 Cost.; mancato esame di tutti gli elementi presenti nel processo; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.)”.
La tesi è che erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto la tardività degli interventi, avvenuti prima della precisazione delle conclusioni, ai sensi dello art. 268 del codice di procedura civile, nel testo novellato dall’art. 29 della legge 1990 n.353 a decorrere dal 30 aprile 1995 (e gli atti di intervento sono successivi a tale data). Il ricorrente cita correttamente i recenti arresti di questa Corte (Cass. 28 luglio 2005 n.15787; 21060 del 2004; 2830 del 2003) secondo cui una lettura costituzionalmente orientata delle norme processuali in materia di intervento adesivo autonomo, deve consentire la legittimazione a partecipare al processo già pendente tra altri soggetti, acquisendo, per effetto del processo stesso, la qualità di parte. L’ampliamento del processo sotto il profilo soggettivo è giustificato dalla esigenza della economia dei giudizi, volendosi favorire l’esaurimento contestuale delle controversie connesse in ragione dei medesimi oggetti o titoli dei contrapposti diritti e ridurre così il rischio della contraddittorietà dei giudicati (cfr. Cass n.4771 del 1999, che costituisce l’incipit sistematico). Tale esigenza peraltro non può entrare in conflitto con quella di economia interna al processo tra le parti originarie, e pertanto i soggetti che intervengono debbono accettare il processo nello stato in cui si trova, operando nei loro confronti le preclusioni connesse funzionalmente alle fasi di sviluppo del procedimento.
Sussiste dunque sia l’error in procedendo sia il vizio della motivazione, contraddittoria e insufficiente nello illustrare le ragioni della ritenuta inammissibilità.
Il giudice del rinvio dovrà dunque attenersi ai principi di diritto come sopra richiamati, ritenere ammissibili gli interventi e considerare le ragioni a sostegno delle pretese risarcitorie allo stato degli atti, tenendo conto che la preclusione non opera in relazione alla attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non è operante il divieto di proporre domande nuove, divieto che vincola le parti originarie (art. 167 e 183 c.p.c.) e ciò per la ragione che la formulazione della domanda costituisce l’essenza stessa dell’intervento (conf. Cass. 15787/05 ff 8 in parte motiva).
Nel secondo motivo si deduce: “Violazione e o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 143 e ss, 433 e ss c.p.c; 1223,1226, 2043, 2056, 2058, 2059, 2697, 2729 c.c.: 112,115 c.p.c, 12 secondo comma ultima ipotesi disp. prel. cod. civile, art.2,3 secondo comma, 29 primo comma, 30 primo comma, 31 primo e secondo comma della Costituzione italiana; art.8 primo comma, 12,34,41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; parte I, paragrafo 16 della Carta sociale europea, riveduta con annesso, fatto a Strasburgo il 3 maggio 1996; primo Protocollo addizionale di Parigi del 20 marzo 1952; art.6 paragrafo 2 (ex art. F paragrafo 29, art. 46 lettera d (ex art. L) del Trattato sulla Unione Europea di Amsterdam; art.1 paragrafo 1 allegato alla risoluzione 75/7 del Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa; mancato esame di tutti gli elementi presenti nel processo, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.
Questo complesso e suggestivo motivo, ruota intorno ad una doppia cornice, costituzionale ed europea, dei diritti umani inviolabili, ed all’inquadramento del danno parentale per la perdita del congiunto, come danno iure proprio, subito dai parenti stretti e conviventi, di natura esistenziale.
Si critica in particolare il passo (ff 16) della sentenza della Corte di appello di Napoli, che pur considerando la esistenza del danno esistenziale quale “pregiudizio che l’individuo subisce alle attività realizzatrici della propria persona” afferma che tale pregiudizio rientra nella nozione estesa del danno biologico, e che la sua autonoma liquidazione porterebbe ad una duplicazione risarcitoria, atteso che il danno biologico è stato già considerato e valutato cone ingiusta lesione della integrità psicofisica della persona, e liquidato unitamente al danno morale subiettivo (ff.15 della motivazione).
Il motivo e quindi la memoria illustrativa sul punto contengono una accurata ricostruzione storica del riconoscimento, dapprima nella elaborazione dottrinale e quindi da parte dei giudici di merito, del danno esistenziale, per giungere alla svolta decisiva, operata dalle sentenze gemelle del 2003 (nn. 8827 e 8828), recepite come diritto vivente dalla Corte Costituzionale (n.233 del 2003), che hanno dato finalmente una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del codice civile, pur nell’ambito della unitarietà dello illecito civile, estendendo la tutela del danno non patrimoniale ai diritti inviolabili, intesi come posizioni soggettive o interessi personali costituzionalmente protetti.
Negli stessi anni, sotto la spinta della Corte Costituzionale tedesca, una analoga riforma avveniva nell’ordinamento germanico, con la modifica del paragrafo 253 del GBG, ricopiato nel 1942 dall’art. 2059 del codice civile.
Il nuovo testo (in vigore dal 1 agosto 2002) della norma del codice tedesco, recita: per il danno che non è patrimoniale (Schmerzensgeld) può chiedersi un indennizzo in denaro nei soli casi determinati dalla legge. Se il risarcimento è dovuto per la lesione del corpo, della salute, della libertà o della autodeterminazione sessuale, può chiedersi una equa indennità in danaro anche per il danno che non è patrimoniale".
Questa riforma è stata criticata in quanto riduttiva, rispetto alla riforma introdotta dalla Cassazione e convalidata dalla Corte Costituzionale del 2003, che invece ha consentito di ampliare il contenuto tipicizzato del danno ingiusto non patrimoniale da illecito, a tutte le posizioni soggettive costituzionalmente protette. La riforma italiana peraltro, come ha acutamente sottolineato la difesa del ricorrente, appare in linea con l’apertura della Corte Costituzionale italiana alla interpretazione dell’art. 2 della Costituzione come clausola aperta di garanzia della inviolabilità anche in sede civile dei diritti umani, in intima connessione con il principio di solidarietà e con quello di eguaglianza sostanziale (come impegno della Repubblica e dei suoi organi a rimuovere gli ostacoli alla espansione della persona umana e del lavoratore come primario partecipe della vita sociale). L’interpretazione sistematica dei diritti della persona, conduce dunque alla applicazione della clausola del neminem laedere anche al settore dei diritti fondamentali, secondo il metodo del combinato disposto, tra norma precettiva costituzionale a garanzia del diritto soggettivo, e la clausola generale di cui all’art. 2043 del codice civile, esteso anche all’art. 2059 (cfr. Cass.12 ottobre 2006 n. 23918, ff 8 in parte motiva).
La Corte Costituzionale tedesca, pur non interferendo sulla modesta riforma del codice civile, afferma tuttavia la necessità di completare la tutela civile, attraverso il riconoscimento del danno da lesione del diritto generale della personalità (allgemeiness Personlichkeitsrecht).
Come si nota, due importanti Stati dell’Unione, dotati di una Costituzione che espressamente prevede riconoscimento e tutela anche in sede civile, dei diritti umani, seguono vie diverse ma convergenti verso la effettività della tutela anche in via giurisdizionale.
Sostiene dunque il ricorrente di aver chiesto, sin dal primo grado e ribadito in appello, di aver subito un danno esistenziale iure proprio, in relazione alle rilevanti modificazioni della propria vita privata e del rapporto familiare o parentale, quale conseguenza irreparabile della perdita della figlia di appena sette anni (FF 19 e 20 del ricorso), aggiunge poi che il danno è in re ipsa (danno già presunto per la sua stessa natura), e che pertanto non necessita di prova in concreto né di accertamento medico legale, e che deve presumersi sino a prova contraria, ogni qualvolta la offesa, per la sua gravità, colpisce soprattutto in modo irreversibile la integrità e solidarietà degli affetti e del nucleo familiare. Sostiene inoltre come errata la inclusione della vita di relazione nell’ambito del danno biologico.
Essendo questo il nucleo della difesa sostanziale, malgrado l’abbondanza dei riferimenti giurisprudenziali ed il forte quadro dei riferimenti costituzionali e di diritto comune ed alla Convenzione sui diritti umani, occorre dar conto della non decisività ed autosufficienza del ricorso, proprio in relazione al principio dello onere della prova, confermato dalle SU di questa Corte, nella recente sentenza 2 marzo 2006 n. 6472 e nelle successive Cass. semplici n. 23918 del 2006 e 13546 del 2006. Le tre decisioni appena richiamate concordano tutte nel ritenere che la prova, anche del danno parentale-esistenziale, è a carico di chi ne chiede il risarcimento, ed il giudice deve decidere iuxta alligata et probata, secondo le prove, anche in via presuntiva, dedotte dalla parte.
Nel caso di specie invece è perentoria la affermazione del danno in re ipsa, riproducendosi la teoria del cd. danno evento, in connessione alla violazione del diritto, e con valutazione equitativa rimessa al prudente apprezzamento del giudice.
Poiché questa Corte ritiene che la esistenza del danno parentale, qualunque sia il profilo dedotto (come danno diretto di ordine psichico, o come patema d’animo proprio del danno morale, o come autonomo danno esistenziale, ma ancorato a posizioni soggettive costituzionalmente protette) debba essere provata come danno conseguenza (nella specie di un illecito sanitario da cui è derivata la morte di una giovanissima paziente ricoverata e non debitamente curata), il motivo stesso difetta in radice di decisività e di autosufficienza, non rendendo evidenti le ragioni specifiche e le circostanze rilevanti da cui desumere, anche in via presuntiva la esistenza del danno.
Non sussiste pertanto nessun error in iudicando e nessuna violazione delle norme sostanziali e comunitarie richiamate.
Non sussiste neppure il vizio della motivazione, ed in vero, come si evince chiaramente dalla motivazione impugnata (ff 8 e 9) la Corte ha considerato essenzialmente il danno parentale come danno morale soggettivo (ff 8), ritenendo riduttiva la valutazione tabellare data dai primi giudici e provvedendo ad una adeguata rideterminazione, tenendo conto delle varie circostanze (ff 6) dedotte per dimostrare la entità e la intensità delle sofferenze patite dal S., e quindi (ff 9) ha escluso la considerazione del danno esistenziale, assumendo che il profilo dedotto per tale pregiudizio era stato considerato, come componente del danno psichico, nel risarcimento del danno biologico, onde una terza liquidazione avrebbe condotto quanto meno ad una duplicazione delle poste risarcitorie.
Non sussiste contraddittorietà, proprio in relazione alla non chiarezza delle causae petendi poste in essere dal ricorrente, che avrebbe dovuto saper scegliere il profilo causale più rilevante ai fini della individuazione della posta risarcitoria, non contestando neppure la non congruità eventuale della liquidazione modesta del danno biologico (v. sentenza di appello a ff 8).
La puntualizzazione da fare è dunque la seguente: ineriscono alla sfera della famiglia, costituzionalmente protetta, i pregiudizi alla realizzazione personale derivanti dalla perdita del prossimo congiunto, in conseguenza di un fatto illecito altrui. La distruzione del nucleo familiare, la impossibilità dei superstiti di esplicare la propria personalità nei rapporti con il congiunto, la relazione affettiva nel rapporto paterno con la giovanissima figlia, la perdita delle attività sociali e culturali costituiscono delle privazioni e modifiche delle abitudini della vita, in senso negativo che rientrano nelle dimensioni costitutive del danno da perdita parentale. Il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno, unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, e alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione. Questa corte, nella sentenza delle Sezioni unite citata (5672/06) ha posto in evidenza la possibilità che dal fatto lesivo (nella specie da inadempimento contrattuale per illegittimo demansionamento del lavoratore) derivi una pluralità di danni, al lavoratore, da risarcire a titolo biologico, esistenziale e morale; la stessa logica si verifica nella fattispecie di un illecito sanitario, ascrivibile ai sanitari e a titolo solidale alla struttura sanitaria (e per essa alla Regione Campania la cui legittimazione non è in contestazione), che determina la morte imprevista di una giovanissima paziente, inserita in un nucleo familiare giovane sia per i genitori che per i fratelli conviventi. Il danno parentale presenta dunque vari aspetti, anche di ordine patrimoniale, morale, e di modifica delle qualità della vita, ma spetta alle vittime ed alla intelligenza dei loro difensori, apprestare una difesa adeguata e domande sostenute, oltre che da validissimi riferimenti costituzionali, da una serie dettagliata di circostanze che illustrano la vita della figlia in famiglia ed il dolore e le perdite, anche esistenziali, conseguenti a tale morte.
Non è possibile, per le ragioni più volte dette da questa Corte, a partire dall’incipit del 2003, condividere la tesi di un danno esistenziale, come species del danno non patrimoniale da inserire accanto al danno biologico ed al danno morale soggettivo, svincolato dall’elemento soggettivo del fatto reato. La più volte citata sentenza delle Sezioni unite del 2006 risolve un contrasto interno alla sezione lavoro della Corte in tema di danno in re ipsa o di danno iuxta alligata et probata, e stabilisce il principio di diritto ponendo a carico del danneggiato la prova; la definizione data del danno esistenziale è riferita ad una situazione tipica di lesione della identità professionale del lavoratore sul luogo di lavoro, con un preciso riferimento ai valori laburistici e solidali di cui agli art.1 e 2 della Costituzione (cui aggiungiamo anche gli articoli 3,4 e 41 n.2 per una migliore sistematica) e dunque è una definizione peculiare e pragmatica, indirizzata dalla natura dello illecito considerato.
Il legislatore italiano non si è dunque ispirato alla riforma codicistica germanica del paragrafo 253 comma secondo del B.G.B, e neppure alla configurazione di una categoria unitaria del danno esistenziale, nella quale ricondurre tutti i pregiudizi che a prescindere dalla fonte (illecito o contratto o legge speciale) da cui derivano o dallo specifico ambito dalla sfera personale che coinvolgono, si manifestano sempre come modificazioni peggiorative delle attività attraverso le quali il singolo realizza la propria personalità.
La stessa definizione del danno biologico da illecito della circolazione, contenuta negli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni, a carattere ricognitivo del diritto vivente e dello stato dell’arte medico legale, evidenzia la struttura complessa del danno biologico, che ha una componente a prova scientifica medico legale e due componenti a prova libera (la incidenza negativa sulle attività quotidiane e la incidenza negativa sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato).
Se si dovesse accogliere la proposta della figura unitaria del danno esistenziale, la definizione analitica data dal codice delle assicurazioni, sicuramente includerebbe anche una componente esistenziale, integrando la valutazione tabellare, per il principio generale della riparazione integrale del danno alla salute.
Questa Corte condivide la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civile, ma secondo un rigoroso principio di tipicità delle fattispecie da tutelare, incluse le posizioni soggettive inerenti a diritti umani inviolabili ed inclusi gli interessi essenziali della persona umana, che rientrando nella elaborazione dei cd. nuovi diritti, assumo rilievo costituzionale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Posizione da ultimo ribadita dalla sentenza del 12 ottobre 2006 n.23918, che espressamente considera la limitata valenza delle SU in tema di risoluzione di un conflitto sul danno da demansionamento e da inadempimento contrattuale datoriale. Spetta al legislatore intervenire con una modifica legislativa del testo dell’art. 2059 con la espressa inclusione di fattispecie tipiche emergenti (sul modello del codice civile tedesco riformato nel 2002), mentre spetta ai giudici nazionali garantire ai propri cittadini il ricorso effettivo alla giurisdizione, anche civile, nel caso di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto della Unione e dalle comuni tradizioni costituzionali (art. 11-107 della Costituzione europea e art.24 della Costituzione italiana).
Il metodo del combinato disposto, tra precetto costituzionale e clausola generale del neminem laedere, rende costituzionalmente rilevante la materia risarcitoria, e la funzione integrale del risarcimento del danno alla persona.
Ed è il metodo che resta valido anche per il consolidamento delle varie fattispecie di illecito o di inadempimento in relazione alle quali si vogliono configurare situazioni di danni esistenziali. Danni che risultano modellati su una matrice rigorosamente consequenzialistica, ma che hanno spesso natura composita in relazione alla eterogeneità degli interessi della persona, non tutti meritevoli di tutela. È vero che il danno esistenziale sovente non coincide necessariamente con la lesione di un bene o di un interesse costituzionalmente protetto, ma se tale coincidenza si verifical’obbligo della tutela giurisdizionale è garantito.
In conclusione il ricorso merita accoglimento limitatamente al primo motivo, rigettandosi il secondo, con rinvio dinanzi alla Corte di appello di Napoli della causa tra G.C., F. ed A.S. e la Regione Campania, anche per le spese del giudizio di cassazione; spese che compensa tra S.S. e la Regione Campania e tra i ricorrenti e le Usll non legittimate a stare in giudizio, come ripetutamente detto dai giudici del merito.
PQM
Accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo, cassa in relazione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli la causa tra G.C., F. ed A.S., e la Regione Campania, anche per le spese del giudizio di cassazione; spese che compensa tra S.S. e da Regione Campania e tra i ricorrenti e le Usll 28 e 40 (gestione liquidatoria).